Il D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 ha introdotto, nel secondo libro del codice di procedura civile, il Capo II- quater, specificamente intitolato “del procedimento semplificato di cognizione”.
Si tratta di un procedimento del tutto nuovo introdotto contestualmente all’eliminazione dal codice di rito del processo sommario di cognizione, di cui peraltro dovrebbe recuperare (come specificato nella relazione introdutiva alla riforma) le caratteristiche tipiche “di concentrazione e snellezza”. In realtà, nonostante che il richiamo effettuato dalla relazione introduttiva possa fare pensare il contrario, anche da una prima lettura è facile capire come esso sia stato disegnato non già in continuità, ma in contrasto, con il rito sommario, di talchè è proprio schematizzando le problematiche proprie di quest’ultimo che se ne comprendono piu’ facilmente razionale ed ambiti operativi.
Al riguardo ed in estrema sintesi, è noto che il sommario di cognizione era un procedimento nato assicurare che cause di facile soluzione venissero assoggettate un rito “proporzionato” alla modesta complessità della controversia di cui si trattava. Il sistema di spinte e controspinte che nel processo ordinario di cognizione garantisce l’effettività del contraddittorio (e cosi’ la pienezza della tutela giurisdizionale,) sembrava sovrabbondante nel caso di controversie di modesto cabotaggio, per cui si pensò che in tale caso si sarebbe potuto ricorrere ad un procedimento altamente deformalizzato la cui gestione fosse massimamente lasciata al potere discrezionale del giudice. Si penso’ anche che a valle di tale nuovo modello processuale la stessa struttura (logica e formale) della sentenza potesse risultare eccessiva; e che come tale – eventualmente ampliando i poteri delle parti in appello – il procedimento potesse terminare con una ordinanza sommariamente motivata.
La codifica di tali principi, tuttavia, risulto’ più difficile del previsto. Il requisito della semplicità della lite venne effettuato con un richiamo a fattispecie che non prevedevamno una istruttoria complessa (la nota espressione di cui all’art. 702 ter c.p.c.) ma ben presto ci si rese conto che l’espressione era limitativa (ed infatti l’art. 183 bis c.p.c. aggiunse alla non complessità dell’istruttoria quella della non complessità della lite). La deformalizzazione del rito, regolata con una previsione mutata direttamente dall’art. 669 septies c.p.c. (“omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio”), sembro’sino da subito adattarsi male ad un procedimento di natura cognitiva e quindi strutturalmente diverso da quello cautelare. Il definire il processo con ordinanza, infine, risulto’ problematico perché la sintesi che caratterizzava alcune decisioni rendeva difficile (causa anche il progressivo allentamento del principio devolutivo in appello) il regime delle impugnazioni. Volendo, si puo’ forse aggiungere che persino l’espressione usata per definire il rito (la parola “sommario”) era culturalmente comprensibile (di sommario si era parlato, solo come esempio, tanto nel diritto ecclesiastico che nel codice del l865) ma poco appetibile ai meno informati. Lasciava infatti immaginare (anche se la cosa non corrispondeva a verità) un rito caratterizzato forte velocità ma tutto a scapito delle garanzie delle parti.
Il “semplificato di cognizione” nasce dunque oggi, a seguito della cattiva esperienza del sommario di cognizione, come un rito a preclusioni rigide, destinato a terminare con una sentenza, funzionale alla gestione di controversie non particolarmente complesse.
Per quanto attiene alle condizioni di applicabilità del “semplificato di cognizione”, innanzitutto, queste sono regolate in due commi dall’articolo 281 decies c.p.c. Nel primo comma sono regolate quelle cause in cui l’accertamento dei fatti di causa risulta particolarmente semplice. Si tratta infatti di quelle cause che (come nel rito sommario) sono caratterizzate da una istruttoria non complessa, nonché quelle in cui i fatti non sono controversi, le prove sono documentali, o magari la controversia è di pronta soluzione. In questo caso l’attenzione del legislatore è evidentemente sul titolo della domanda. Quando i fatti sono facilmente accertabili, si puo’ procedere con il rito semplificato.
A questa ipotesi, pero’, si aggiunge quella di cui al secondo comma dello stesso articolo 281 decies c.p.c, che viceversa tratta di quelle controversie in cui il giudice opera monocraticamente. In termini molto generali, è intuibile che anche in questo caso si tratta di controversie che il legislatore immagina come non particolarmente complesse (immaginando che delle controversie di più difficile soluzione si dovrebbe in astratto occupare il Tribunale in composizione collegiale).Tuttavia, se si esaminano le fattispecie che a norma dell’art. 50 bis c.p.c. sono lasciate al Tribunale in composizione collegiale, è facile rendersi conto che si tratta di casi relativamente residuali e che la maggioranza del contenzioso civile viene attualmente deciso in composizione monocratica. Da cio’ discende una peculairità (o forse una criticità) del nuovo rito semplificato, che sebbene nato (o pensato) per regolare principalmente controversie di piu’ facile soluzione, è di fatto destinato a divenire (se le parti lo vorranno utilizzare) il modello più utilizzato nei contenziosi di natura civile.
Per quanto attiene alla fase piu’ propriamente dinamica, il nuovo semplificato di cognizione è un processo a preclusioni in cui (a differenza del rito introdotto con la 353/90) il potere di emendatio è lasciato ad una valutazione discrezionale del giudice. Si introduce con ricorso contenente, tra l’altro, l’indicazione delle prove richieste e prevede un termine a difesa del resistente di quaranta giorni (il che significa che il giudice fisserà una udienza a distanza tale da permettere che la notifica del ricorso lasci al resistente un termine minimo a difesa di quaranta giorni), con sua costituzione almeno dieci giorni prima dell’udienza. La comparsa di resistenza conterrà, a pena di decadenza, non solo eventuali chiamate in causa del terzo o domande riconvenzionali, ma anche – e diremmo, soprattutto – tutte le eccezioni processuali e di merito non proponibili di ufficio, nonché l’indicazione delle prove richieste.
In prima udienza saranno ammesse le sole eccezioni nuove conseguenza delle difese avversarie (il che significa che l’unico soggetto che potrà usufruirne dovrebbe essere il ricorrente), mentre un potere di emendatio delle reciproche pretese (la ben nota precisazione di domande, eccezioni e conclusioni, oggi tendenzialmente lasciata alle note ex art 183 c.p.c.), il deposito di ulteriori documenti nonché la richiesta di attività istrutttorie non precedentemente rubricate, sarà autorizzata dal giudice esclusivamente per ragioni di opportunità. (testualmente: quando sussisterà un “giustificato motivo”) ed effettuata nel temine di venti giorni dall’udienza di trattazione, con diritto alla richiesta di controprova nei successivi dieci. Se le parti non chiederanno tali termini a difesa, se il giudice non li autorizzerà, ovvero la causa non sarà già matura nel merito (nel qual caso la si spedirà in decisione), si procederà ad ammettere gli eventuali mezzi di prova richiesti e si procederà alla loro assunzione. La causa sarà quindi spedita in decisione.
Anche le modalità della spedizione in decisione sono disegnate per garantire una forte celerità del rito. Si distingue infatti a seconda che il giudice operi in composizione collegale ovvero in composione monocratica. Nel primo caso, la spedizione in decisione avverrà ai sensi dell’art. 275 bis c.p.c. con decisione a seguito di discussione orale. Il giudice istruttore fisserà l’udienza davanti al collegio con un termine anteriore all’udienza non superiore a trenta giorni per la precisazione delle conclusioni ed uno non superiore a quindici per le note conclusionali. All’udienza la causa sarà discussa oralmente ed all’esito della discussione il collegio pronuncerà sentenza dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione. Nel secondo caso si procederà invece ex art. 281 sexies c.p.c. e quindi il giudice, fatte precisare le conclusioni, ordinerà la discussione alla medesima udienza (o ad una successiva) pronunciando sentenza al termine della discussione (e dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione). In questa seconda ipotesi le parti non avranno possibilità di redigere le note conclusionali: una soluzione che si spiega certamente con la (presunta) semplicità delle cause di cui si tratta, ma che certamente priva la parte della possibilità di esercitare quella difficile attività (che per questo era sempre stata sino ad oggi effettuata per iscritto) di sussumere i fatti accertati a seguito dell’istruzione probatoria all’interno della norma di riferimento.