Con l’ordinanza n. 31130/2023 dell’8.11.2023, la Suprema Corte ha deciso un’opposizione all’esecuzione affermando il principio di diritto in base al quale non è possibile eccepire l’avvenuta compensazione, né propria né impropria, quando le reciproche pretese delle parti derivino dal medesimo titolo esecutivo giudiziale, che le ha tenute distinte poiché ritenute non suscettibili di reciproca elisione.
Una società, la Gulp Charter S.r.l., intimava il pagamento di euro 9.948,68, sulla base di un titolo esecutivo costituito da sentenza di condanna esecutiva ottenuto da altra società, del cui credito si era resa cessionaria. L’intimato proponeva opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c.. L’opposizione veniva accolta dal Tribunale di Roma, con conferma da parte della Corte d’Appello.
Seguiva, quindi, proposizione di ricorso in Cassazione.
In modo particolare, la ricorrente denunciava ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 1242 e 1243 c.c. per esser stata disposta la compensazione in assenza dei presupposti di legge.
La impugnanda decisione della Corte d’Appello aveva infatti ritenuto come sussistente l’ipotesi di compensazione impropria poiché le pretese delle parti, come reciproche partite di dare – avere, coesistevano nell’ambito di un rapporto unitario poiché nascenti dal medesimo titolo giudiziale. Inoltre, continua la Corte d’Appello, la compensazione impropria opera senza limiti, a nulla valendo la circostanza che il credito opposto in compensazione derivasse da una sentenza di condanna esecutiva, anche se non ancora passata in giudicato.
I rilievi cui giungeva la già nominata Corte traevano spunto, peraltro, da un precedente giurisprudenziale proprio della Cassazione (sentenza n. 23573/2013).
La Cassazione, quindi, rivalutando il proprio orientamento, è giunta alla conclusione che, per verificare la sussistenza dei presupposti della compensazione impropria, non basta soffermarsi al vaglio della circostanza che le obbligazioni nascano dal medesimo titolo contrattuale, ma, altresì, occorre che i rapporti si trovino in una posizione tale per cui il vincolo di corrispettività ne escluda l’autonomia.
In ogni caso, va tenuto in debita considerazione che il precedente di legittimità richiamato dalla Corte d’Appello è da ritenersi superato, atteso che, la stessa Cassazione, al fine di dirimere i contrasti nascenti da interpretazioni discordanti dell’Istituto, ha rivisto il proprio orientamento, statuendo in senso opposto.
Inoltre, i presupposti della compensazione si sarebbero verificati in tempo utile per essere dedotti nel corso del giudizio di cognizione e, di conseguenza, la compensazione avrebbe dovuto essere fatta valere nel giudizio di cognizione all’esito del quale si è formato il titolo esecutivo. Peraltro, il Giudice della cognizione, parrebbe aver implicitamente escluso la sussistenza di ipotesi compensativa, avendo emesso due distinte condanne reciproche, senza quantificare contabilmente il saldo delle contrapposte partite. È pacificamente riconosciuto, inoltre, che, se la coesistenza dei crediti si verifica in tempo utile per essere eccepita nel giudizio di cognizione, la mancata proposizione dell’eccezione impedisce poi di opporre la compensazione in sede esecutiva.
Per questi motivi, quindi, la Corte ha cassato la sentenza in commento, con rinvio alla Corte d’appello di Roma.