Con una recente ordinanza, la Sezione Imprese del Tribunale di Firenze si è pronunciata per la prima volta sull’innovativo tema dell’impiego dell’intelligenza artificiale (IA) negli atti giudiziari.
In particolare, i Giudici sono stati chiamati a valutare se l’utilizzo improprio dell’IA possa configurare, o meno, l’ipotesi di responsabilità aggravata per lite temeraria, ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
La vicenda trae origine dalla proposizione di un reclamo avverso un provvedimento di sequestro di beni contraffatti, con il quale parte reclamante ha richiesto, tra le varie domande, anche la condanna della società soccombente per responsabilità aggravata.
Quest’ultima avrebbe utilizzato – con mala fede – lo strumento dell’IA, avendo inserito nei propri scritti difensivi riferimenti giurisprudenziali senza tuttavia verificare la veridicità delle ricerche effettuate.
Il difensore della società – interpellato sul punto – ha riconosciuto che le sentenze indicate nei propri atti erano frutto di una ricerca effettuata tramite l’utilizzo di “ChatGPT”, ammettendo l’omesso controllo sulla correttezza delle stesse.
Per tale motivo, ne ha quindi chiesto lo stralcio, precisando tuttavia che i riferimenti citati erano in ogni caso conformi alla propria linea difensiva e non erano stati, invece, inseriti con un intento fraudolento.
Il Collegio del Tribunale di Firenze, chiamato a decidere sull’applicabilità della responsabilità aggravata ex art 96 c.p.c., si è soffermato per la prima volta sugli effetti dell’impiego di ChatGPT all’interno di atti giudiziari. Più in particolare, sull’impiego di informazioni non veritiere generate dall’intelligenza artificiale, che caratterizza il fenomeno delle cc.dd. “allucinazioni di intelligenza artificiale”.
In altri termini, il Collegio ha spiegato che l’IA avrebbe fornito delle informazioni fallaci, arrivando a generare delle informazioni verosimili, ma che in realtà erano false. Nel caso di specie, infatti, l’IA aveva generato dei numeri asseritamente riferibili a sentenze della Corte di Cassazione in realtà inesistenti o il cui argomento, tuttavia, non riguardava l’oggetto della causa.
Il Tribunale ha poi sottolineato un ulteriore aspetto problematico dell’IA, precisando come, a causa di queste “allucinazioni”, l’IA – interrogata una seconda volta – potrebbe confermare l’informazione inventata come veritiera, rendendo quindi ancora più importante una verifica tramite fonti ufficiali.
I Giudici, chiarita tale innovativa fattispecie, si sono poi soffermati sulla sussistenza o meno dei presupposti della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. in capo alla società reclamata.
In primo luogo, richiamando il primo comma della citata norma, il Tribunale ha ricordato che l’applicazione di tale responsabilità presuppone la colpa grave o la mala fede del soggetto, non rinvenute nel caso di specie.
Il Collegio ha infatti evidenziato come la società reclamata, seppur abbia fatto ricorso all’impiego di citazioni errate generate dall’IA a supporto della propria tesi, ha sempre mantenuto una linea difensiva costante, non andando in alcun modo ad influenzare la decisione dell’organo giudicante.
Il Tribunale ha poi ricordato come in capo a chi richiede il risarcimento ex art. 96 c.p.c. incomba l’onere della prova, volto a dimostrare sia l’esistenza dell’an che del quantum debeatur.
Nel caso di specie, tuttavia, la parte reclamante non ha fornito alcuna prova circa i danni subiti.
Il Tribunale ha, infine, escluso l’applicabilità dell’art. 96 c.p.c. anche con riferimento alla fattispecie prevista dal terzo comma, che consente al Giudice di condannare d’ufficio al pagamento di una somma equitativamente determinata anche senza prova del danno, ritenendo come tale modalità si estrinsechi in una species dei primi due commi.
In altre parole, quindi, anche per poter applicare il terzo comma non si può prescindere dalla sussistenza della mala fede o della colpa grave, con la conseguenza dell’inapplicabilità della sanzione prevista.
Alla luce di quanto sopra argomentato, il Tribunale, pur evidenziando l’omessa verifica delle risultanze e dunque l’utilizzo improprio dell’IA, ha in ogni caso escluso l’applicazione dell’art. 96 c.p.c. per mancanza dei presupposti di legge.