È quanto affermato dalla Cassazione sulla tempestività della notifica a mezzo PEC di una sentenza d’appello, di cui parte controricorrente lamentava la tardività, nonché la temerarietà della lite.
In modo particolare, avverso la sentenza d’appello notificata a mezzo PEC, i soccombenti proponevano ricorso di legittimità, mentre, invece, le controparti proponevano controricorso chiedendo che venisse dichiarata l’inammissibilità dello stesso per tardività e la condanna dei ricorrenti per temerarietà della lite.
Parte ricorrente asseriva la nullità della notifica a mezzo PEC della sentenza d’appello, atteso che il difensore aveva estratto direttamente la sentenza dal fascicolo informatico, mentre “ai fini della notifica in proprio […] la copia dell’atto o del provvedimento […] è solo quella estratta dal fascicolo informatico a seguito dell’accesso eseguito tramite business key o smart card di autenticazione e successivo download del file”; dunque, il difensore non provvedeva ad estrarre il file in maniera conforme alla normativa di riferimento.
La doglianza dei ricorrenti si riferirebbe, dunque, alla circostanza che la copia della sentenza notificata non sarebbe stata direttamente estratta ed asseverata, ma l’attività di asseverazione sarebbe stata compiuta riguardo alla copia comunicata al difensore dei resistenti.
Tale citata circostanza non sarebbe sufficiente ad inficiare la notificazione della sentenza ai fini dell’art. 325 c.p.c. dal momento che la copia pervenuta al difensore di parte resistente era equivalente all’originale e l’estrazione della copia pienamente legittima.
Dalla lettura, infatti, il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 52 convertito in L. 11 agosto 2014, n. 114, art. 52 rubricato “poteri di autentica dei difensori e degli ausiliari del giudice”, si evince il potere del difensore di estrarre copie analogiche e duplicati degli atti e/o dei provvedimenti del fascicolo, nonché il potere di attestare la conformità delle copie ai corrispondenti atti del fascicolo.
Su tale base, dunque, la Corte degli ermellini ha dichiarato il presentato ricorso inammissibile per tardività dello stesso (il ricorso, infatti, sarebbe stato presentato dopo quasi sette mesi dalla notifica della sentenza d’appello) e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese per lite temeraria, per avere l’impugnazione tardiva comportato “un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali”.
Nel caso di specie, infatti, l’abuso del processo si ravviserebbe nella circostanza che i ricorrenti avrebbero notificato oltre i termini di legge un ricorso inammissibile per l’inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non essendo stata fornita specifica indicazione degli atti processuali cui si faceva riferimento (la parte, infatti, aveva omesso sia di indicare compiutamente dove l’atto fosse stato prodotto nel presente giudizio di legittimità, sia di chiedere la trasmissione del fascicolo del giudizio d’appello).