26.02.2019 Icon

Difetto di legittimazione passiva o carenza di titolarità passiva?

Il Giudice ha il potere di riqualificare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva spiegata dalla parte, in carenza di titolarità dal lato passivo del rapporto controverso.

Questa è la soluzione che è stata adottata dal Tribunale di Vicenza nella sentenza dello scorso 19 dicembre, resa all’esito del giudizio di riassunzione incardinato a seguito dell’interruzione del procedimento, per la messa in liquidazione coatta amministrativa della banca originariamente convenuta.

Nel caso specifico la società attrice aveva aperto presso una filiale della banca un rapporto di conto corrente ordinario di corrispondenza, conto che non rientrava nel novero delle posizioni cedute alla banca convenuta in riassunzione, essendo invece rimasto in capo alla banca in liquidazione coatta amministrativa.

La banca cessionaria, citata in giudizio dalla società attrice, sollevava dunque l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, rilevando come il contenzioso oggetto di causa riguardasse una posizione non in bonis e, dunque, esclusa dal perimetro di cessione, posto che non può esserci una legittimazione attiva o passiva processuale in difetto di una legittimazione attiva o passiva sostanziale.

La banca cessionaria sosteneva, nello specifico, che l’unico soggetto legittimato passivo fosse la banca in liquidazione, la sola titolare del rapporto contestato e che, pertanto, il processo dovesse proseguire solo nei suoi confronti, con estromissione della cessionaria.

Decidendo in merito, il Giudice si è avvalso del potere di qualificare giuridicamente un’azione o un’eccezione e di attribuire al rapporto processuale un nomen juris diverso da quello indicato dalle parti, purché ciò non produca una sostituzione della domanda proposta con una differente.

In particolare, il Giudice ha distinto l’istituto del difetto di legittimazione passiva da quello concernente la carenza di titolarità passiva.

Tale differenza è ben spiegata dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 2951/2016, secondo la quale i due istituti hanno presupposti distinti e presentano una diversa ripartizione dell’onere della prova.

Nello specifico, la legittimazione ad agire attiene al diritto all’azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare (c.d. titolarità del diritto ad agire). La sua carenza, dunque, può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Trattasi quindi di eccezione in senso lato.

Altra cosa è la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio. Tale questione attiene, infatti, al merito della causa ed è un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda. In tal caso, incombe sull’attore l’onere della prova: la domanda può essere provata in positivo dall’attore o in forza del comportamento processuale del convenuto, qualora quest’ultimo riconosca espressamente detta titolarità oppure svolga difese incompatibili con la negazione della titolarità. Si tratta dunque di una mera difesa, priva di termine decadenziale. La relativa eccezione è anch’essa in senso lato, purché però la carenza di titolarità emerga dagli atti del processo.

Il Tribunale, all’esito del giudizio, ha quindi accolto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva avanzata dalla banca convenuta, ma l’ha riqualificata come carenza di titolarità dal lato passivo del rapporto.

Tribunale di Vicenza,19 dicembre 2018, n. 2933David Dal Santo – d.dalsanto@lascalaw.com

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