12.03.2024 Icon

Deposito cartaceo e deposito telematico: differenze di disciplina

Nella disciplina del processo civile telematico, non trovano applicazione le regole dettate dall’art. 74 c.p.c., nonché dall’art. 87 disp. att. c.p.c., in quanto il deposito telematico non solo rende superflua la suddivisione del fascicolo di parte in due sezioni, l’una destinata agli atti e l’altra ai documenti, ma anche il visto del cancelliere sull’indice dei documenti, poiché una volta depositati, non possono essere rimossi e sono liberamente consultabili.

Questo è quanto affermato dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione con ordinanza n. 5420 del 29 febbraio 2024.

La vicenda trae origine dalla sentenza con cui la Corte d’Appello di Torino ha respinto l’appello proposto avverso il rigetto del Giudice di primo grado di un’opposizione a decreto ingiuntivo, e con la quale gli appellanti sono stati condannati al pagamento di un’ingente somma di denaro.

Avverso tale pronuncia, i soccombenti hanno proposto ricorso in Cassazione lamentando che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere irrilevante che i numerosi estratti conto prodotti dalla resistente fossero stati dalla stessa depositati telematicamente “in quattro file genericamente indicati come doc. n. 15, n. 16, n. 17, n. 18”; con conseguente lesione del diritto di difesa.

Secondo quanto sostenuto dai ricorrenti, tale modalità di deposito avrebbe reso inutilizzabile la suddetta documentazione, come dimostrato da un precedente giurisprudenziale (richiamato nel ricorso) secondo cui: “Ai sensi degli artt. 74 ed 87 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, gli atti ed i documenti prodotti prima della costituzione in giudizio devono essere elencati nell’indice del fascicolo e sottoscritti dal cancelliere, mentre quelli prodotti dopo la costituzione vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti (oppure, se esibiti in udienza, devono essere elencati nel relativo verbale, sottoscritto, del pari, del cancelliere), di guisa che l’inosservanza di tali adempimenti, rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova, ed al giudice di merito di esaminarli” (Cass. 30 maggio 1997, n. 4822).

I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto infondata tale doglianza in quanto il precedente giurisprudenziale del 1997, evocato dai ricorrenti, non appare pertinente al caso di specie, poiché concerne il deposito dei documenti cartacei.

Tale pratica è completamente estranea all’ambito del processo civile digitale, oggi disciplinata dalle regole del deposito in forma telematica (art. 9, D.M. 21 febbraio 2011, n. 44) che non contemplano l’inserimento di atti e documenti in distinte sezioni del fascicolo di parte ma prevedono che vengano raccolti in un unico fascicolo informatico.

La Corte di Cassazione, dunque, ha evidenziato che: 1. con l’avvento del processo telematico, è stata superata la distinzione tra sezione del fascicolo di parte dedicata agli atti e sezione dedicata ai documenti; 2. il deposito telematico di un atto o di un documento è operazione tendenzialmente irreversibile, in quanto la parte che lo effettua non ha modo di rimuovere quanto depositato. Ne consegue che il visto del cancelliere sull’indice dei documenti prodotti appare, oggi, superfluo.

In conclusione “la disciplina del processo telematico neutralizza, almeno in linea generale, l’eventualità che atti e documenti non ritualmente prodotti possano all’occorrenza comparire e scomparire dal fascicolo di parte. Lo stesso indice dei documenti ha così perso la sua principale funzione, che era appunto quella di raccogliere il «visto» del cancelliere per garantire che i documenti elencati corrispondessero a quelli prodotti”.

Autore Martina Baldassari

Trainee

Milano

m.baldassari@lascalaw.com

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