Con l’ordinanza n. 13145 del 17 maggio 2025, la Corte di Cassazione è tornata a esprimersi sul delicato rapporto tra dichiarazioni rese dal difensore in sede di impugnazione e determinazione delle spese processuali, affrontando un tema tanto tecnico quanto rilevante per la prassi forense: gli effetti dell’errata indicazione del valore della causa ai fini del contributo unificato.
Nel caso di specie, la parte ricorrente aveva erroneamente indicato nell’atto di appello il valore della controversia in € 1.200,71, superiore rispetto a quello applicabile al caso concreto, influenzando la determinazione del contributo unificato riferibile allo scaglione superiore. Ciò aveva indotto il giudice d’appello a liquidare le spese legali sulla base di uno scaglione più alto rispetto a quello effettivamente applicabile. In particolare, la Corte d’Appello aveva condannato la parte al pagamento di € 1.378 per spese legali, quando invece la corretta quantificazione delle spese, in base allo scaglione fino a € 1.100, avrebbe dovuto essere pari a € 332 oltre accessori di legge.
Adita in sede di legittimità, la Suprema Corte ha colto l’occasione per chiarire che la dichiarazione del valore della causa effettuata dal difensore ai soli fini del contributo unificato non ha rilievo sul valore della domanda giudiziale, né ai fini della competenza, né ai fini della liquidazione delle spese processuali.
La Corte ha richiamato la giurisprudenza che esclude che possa attribuirsi valenza processuale alla dichiarazione accessoria resa dal difensore in sede di iscrizione a ruolo. Detta dichiarazione, infatti, è rivolta al funzionario di cancelleria, cui compete il controllo sulla correttezza del contributo dovuto e non al giudice del merito.
Tuttavia, pur ritenendo ininfluente ai fini decisori l’errata quantificazione del valore della controversia, la Corte ha affermato che tale errore può giustificare la compensazione integrale delle spese processuali, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c.
L’errata indicazione del valore, seppur priva di incidenza sulla “domanda”, può indurre in errore il giudice del merito nella liquidazione delle spese e tale circostanza costituisce una grave ed eccezionale ragione di compensazione, in linea con il principio di autoresponsabilità processuale.
La Corte conclude il proprio ragionamento enunciando il seguente principio di diritto: «la dichiarazione del difensore, attinente alla determinazione del contributo unificato, è ininfluente sul valore della domanda, in quanto è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, ma, ove sia errata, può costituire una grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese processuali dell’impugnazione proposta dalla parte che voglia emendare l’errore in cui ha indotto il giudice adito nella determinazione dello scaglione applicabile per liquidare le spese nel provvedimento da lui emesso».
L’ordinanza in commento evidenzia l’importanza di una corretta indicazione del valore della causa anche ai soli fini fiscali, richiamando la responsabilità del difensore nella redazione degli atti. Sebbene l’errore non incida sul contenuto giuridico della domanda, esso può avere implicazioni pratiche rilevanti, specie in sede di impugnazione e regolamentazione delle spese.
Per l’avvocato, ciò si traduce nella necessità di prestare particolare attenzione alla compilazione delle note di iscrizione a ruolo e all’indicazione del valore per il contributo unificato, per evitare ricorsi superflui, contestazioni o – come nel caso in esame – la compensazione delle spese nonostante la soccombenza della controparte.