Con una recente pronuncia il Tribunale di Cagliari, pur in assenza di istanza della parte vittoriosa, ha condannato il convenuto, soccombente nel giudizio, al risarcimento dei danni per lite temeraria, ai sensi dell’art. 96 comma terzo c.p.c., da liquidarsi in via equitativa dal Giudice.
Il Giudice di prime cure ha aderito all’orientamento dalla Corte di Cassazione che con la Sentenza n. 22405 del 13.09.2018 ha ritenuto come la condanna ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c., volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, non richieda né la domanda di parte né la prova del danno, essendo necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede o della colpa grave.
Non risulta configurabile, pertanto, una applicazione oggettiva della condanna ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c., che non prescinde dalla sussistenza della malafede o quantomeno della colpa grave.
La vicenda trae origine da un procedimento avviato da parte attrice la quale ha adito il Tribunale di Cagliari con la richiesta di risoluzione del contratto di sub locazione di un immobile ad uso commerciale, per non aver mai preso possesso del bene oggetto dello stesso in quanto, alla data stabilita per il primo accesso, il locale veniva dichiarato inagibile.
Il convenuto costituitosi in giudizio, ha rilevato l’inesistenza di alcun certificato di inagibilità del bene e che in realtà l’immobile fosse già nella disponibilità di controparte fin dalla data di stipula del contratto e che la stessa fosse comunque a conoscenza delle condizioni del bene.
Nel corso del processo, all’esito delle prove testimoniali disposte, è emersa la fondatezza delle ragioni di parte attrice e le reali condizioni di inagibilità del bene, ben conosciute dal convenuto fin dal principio.
Il Tribunale adito ha, pertanto, accolto la domanda di risoluzione del contratto e, ritenendo sussistente la colpa grave del convenuto, avendo questi resistito in giudizio nonostante la evidente fondatezza della domanda introduttiva, pur in assenza di alcuna istanza di parte, lo ha condannato alla rifusione delle spese di lite e all’ulteriore pagamento in favore di parte attrice di una determinata somma, ai sensi dell’art. 96, comma terzo c.p.c.
Tale somma è stata determinata dal Giudice, in richiamo con quanto disposto dall’Ordinanza della Suprema Corte n. 17902 del 2019, la quale, in tema di responsabilità aggravata, ha rilevato come la determinazione equitativa della somma dovuta dal soccombente, in caso di accertata lite temeraria, non può essere parametrata all’indennizzo di cui alla legge n. 89 del 2001 il quale, avente natura risarcitoria ed essendo commisurato al solo ritardo della giustizia, non consente di valutare il comportamento processuale del soccombente alla luce del principio di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c., laddove la funzione prevalente della condanna prevista dal terzo comma dell’art. 96 c.p.c. è punitiva e sanzionatoria, piuttosto che risarcitoria.
Pertanto, mentre i primi due commi dell’art. 96 c.p.c. rispondono all’esigenza di risarcire la parte vincitrice danneggiata dal comportamento illecito della parte soccombente, il terzo comma, applicato nella sentenza in commento, si differenzia dalle prime due ipotesi di responsabilità aggravata in quanto il Giudice può, anche d’ufficio, e quindi anche senza una specifica istanza di parte, condannare la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata.