Con una recente pronuncia la Suprema Corte, ha affermato che “La nullità della sentenza impugnata, in merito al deposito di nuovi documenti in cassazione, non è solo quella derivante dai vizi propri della sentenza, ma altresì quella originata, in via riflessa, da vizi radicali del procedimento che, attenendo alla identificazione dei soggetti del rapporto processuale e dunque alla legittimità del contraddittorio, determinino la nullità degli atti processuali compiuti.”.
La vicenda trae origine da un ricorso in Cassazione proposto avverso una sentenza della Corte di Appello di Trieste emessa in riforma della sentenza di primo grado con la quale era stata accolta la domanda risarcitoria di parte attrice, a seguito di un sinistro mortale avvenuto in territorio austriaco.
A seguito del gravame proposto dalla società assicuratrice, soccombente in primo grado, la Corte di Appello di Trieste, riformava parzialmente la sentenza di prime cure, determinando una riduzione del quantum dovuto a titolo di risarcimento.
Avverso la sentenza di appello, gli eredi della vittima proponevano ricorso in Cassazione sollevando la nullità della sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Trieste per essere stata emessa a seguito di appello proposto da un soggetto non più esistente, per intervenuta incorporazione e successiva cancellazione dal registro delle imprese della società appellante, al momento della proposizione del gravame.
La Suprema Corte ha sin da subito ritenuto escludersi che tale ipotesi di nullità potesse e dovesse essere denunciata mediante specifico motivo di ricorso per cassazione, atteso che la stessa non era desumibile dal contenuto della sentenza impugnata né era evincibile da altri elementi emersi nel giudizio di appello, ma palesatasi soltanto a seguito della costituzione nel giudizio di cassazione.
Secondo la Corte di Cassazione, infatti, bisogna dare continuità al principio, secondo cui «la parte che, avendo omesso di proporre, in sede di gravame, l’eccezione relativa alla legittimazione ad appellare di una società già estinta per pregressa cancellazione dal registro delle imprese, formuli tale eccezione, per la prima volta, davanti al giudice di legittimità, è ammessa a produrre ivi, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., la documentazione volta a comprovare l’estinzione della società appellante, potendo essa astrattamente costituire una causa determinativa diretta della potenziale nullità della sentenza impugnata».
Principio richiamato da ultimo, anche nella recente sentenza della Corte di Cassazione n. 6397/2023, con la quale la Suprema Corte ha correttamente rilevato che «quando l’appello è proposto da una società cancellata con un nuovo difensore, la parte appellata non è tenuta a verificare se tale società esista o meno, per cui non si può imputare alla parte appellata [successivamente parte ricorrente] di non aver effettuato tale verifica e di addurre poi un novum basato su emergenze fattuali introdotte nel giudizio di cassazione con la relativa documentazione».
Quanto affermato dalla Corte di Cassazione costituisce un intervento determinante, che si colloca in continuità con le precedenti pronunce nel merito.
Pertanto, le nullità della sentenza, prese in considerazione dall’art. 372 c.p.c., al fine di consentire la produzione di nuovi documenti in cassazione, non sono solo quelle derivanti da vizi propri della sentenza, cioè dalla mancanza dei requisiti essenziali di forma e di sostanza della sentenza, ma anche quelle originate, in via riflessa, da vizi radicali del procedimento che, attenendo alla identificazione dei soggetti del rapporto processuale e dunque alla legittimità del contraddittorio, determinano la nullità degli atti processuali compiuti, che può essere dedotta e provata per la prima volta anche in sede di legittimità con idonea produzione documentale (Cass. n. 653/1989; n.9733/1998; n. 9374/2006).