09.05.2023 Icon

Ricorso in Cassazione: il troppo storpia (ed è inammissibile)

Il ricorso in Cassazione, ai fini della sua ammissibilità, deve rispettare il dovere di chiarezza e sinteticità di cui all’art. 366, co.1, nn. 3 e 4 c.p.c., posto a presidio dell’intellegibilità delle questioni sottoposte al vaglio dei Giudici.

È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 7600 del 16 marzo 2023, ha dichiarato inammissibile il ricorso di 65 pagine sottopostole in quanto disordinato, confuso e difficilmente comprensibile, oltre che ripetitivo e ridondante.

La vicenda trae origine da un procedimento di reintegra nel possesso di un immobile a seguito di un asserito spoglio, conclusosi in primo grado con sentenza negativa per gli attori.

Questi ultimi impugnavano il provvedimento emesso dal giudice di prime cure e, già in sede di appello, la Corte riteneva inammissibile il gravame in quanto incomprensibile ed, in ogni caso, non rispettoso dei requisiti di specificità di cui all’art. 342 c.p.c.

Difatti, il Giudice di appello constatava la sussistenza di contestazioni prive di qualunque logica espositiva, oltre ad un elenco di errori ed omissioni della sentenza di primo grado, talché non era possibile individuare quale o quali punti del provvedimento fossero oggetto di impugnazione.

A seguito della declaratoria di inammissibilità resa in sede di Appello, gli appellanti proponevano ricorso in Cassazione per violazione di legge.

La Corte, chiamata ad esaminare il ricorso proposto, ha constatato la sussistenza di molteplici profili di inammissibilità, sia sotto il profilo temporale che contenutistico.

In primo luogo, la notifica del ricorso è avvenuta una prima volta ante scadenza del termine per proporre impugnazione e successivamente, post scadenza, con l’indicazione di un messaggio di difficile comprensione che avrebbe indicato una rinotifica dell’atto corretto.

La Corte ha, dunque, ritenuto che la prima notifica fosse inesistente e la seconda fosse tardiva in quanto successiva allo scadere del termine per proporre l’impugnazione.

In secundis, la Suprema Corte ha ravvisato un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., stante la corposità dell’atto – nella misura di ben 65 pagine -, una formulazione farraginosa dei motivi, nonché continue e ridondanti ripetizioni e sovrapposizioni di elementi di fatto e di diritto, circostanze queste che hanno impedito al Collegio di poter discernere le censure rivolte alla sentenza impugnata.

Sotto questo profilo, la Corte ha precisato che l’art. 366 c.p.c. individua un “modello legale” di ricorso al quale è necessario adeguarsi al fine di scongiurare il rischio di una declaratoria di inammissibilità.

In particolare, la Cassazione ha evidenziato che l’inosservanza del requisito di sinteticità e chiarezza inevitabilmente rende oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse avverso la sentenza impugnata e ciò si verifica quando i fatti non vengono esposti sinteticamente e sono ricostruiti in modo disorganizzato, delegando all’interprete il compito di individuare una connessione logica tra le argomentazioni.

Invero, il ricorrente è tenuto a selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda posti a fondamento delle doglianze proposte, esponendo al termine le ragioni delle stesse nell’ambito della tipologia di vizi indicati all’art. 360 c.p.c., consentendo in tal modo al Giudicante di individuare in modo chiaro gli aspetti salienti della vicenda.

A ben vedere, la violazione dei principi di sinteticità e chiarezza si pone in contrasto non solo con l’obiettivo del processo, ma anche con principi costituzionalmente garantiti ossia l’effettiva tutela del diritto di difesa, sancita dall’art. 24 Cost, nonché con il rispetto del principio del giusto processo ex art. 111 Cost., previsti al fine di evitare oneri processuali inutili per lo Stato e le parti in causa.

Tale principio è stato, peraltro, ribadito dalla Riforma Cartabia che ha inserito l’ultimo periodo dell’art. 121 c.p.c., statuendo che “tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico”, includendo per l’effetto il ricorso per Cassazione.

In virtù di tutte le argomentazioni svolte, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente.

Autore Martina Careccia

Associate

Milano

m.careccia@lascalaw.com

Desideri approfondire il tema Diritto dell'Esecuzione Forzata ?

Contattaci subito