In forza di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti di una società e di due fideiussori della stessa, il creditore provvede ad iscrivere ipoteca sui beni immobili di proprietà di Caio, uno dei due fideiussori. Successivamente, decide di procedere all’esecuzione presso il datore di lavoro di Caio, avendo scoperto che è dipendente con contratto a tempo indeterminato.
All’udienza per raccogliere la dichiarazione del terzo, il procuratore di Caio deposita ricorso per opposizione all’esecuzione ex art. 615 comma 2 c.p.c, contestando l’inserimento nell’atto di precetto notificato a Caio dell’importo delle spese vive e di assistenza legale sostenute dal creditore per le iscrizioni ipotecarie (per un importo vicino al 2% del valore dell’intero precetto).
Secondo il debitore tali spese non possono ritenersi comprese tra quelle che, in quanto conseguenti alla formazione del titolo esecutivo giudiziale e necessarie ai fini del processo esecutivo, formano oggetto necessario dell’azione esecutiva; non si tratta, perciò, di spese comprese nel contenuto della condanna di cui al titolo esecutivo emesso nei confronti del debitore, né di spese consequenziali allo stesso ed infine nemmeno necessarie ai fini dell’instaurazione del processo esecutivo. Per questo, le spese per le iscrizioni ipotecarie relative a beni estranei al processo esecutivo non potranno essere riconosciute come spese per la procedura esecutiva. L’opponente inoltre chiede la sospensione dell’esecuzione, di dichiararsi che il creditore non abbia titolo per procedere all’esecuzione forzata in relazione alle spese vive e per l’assistenza legale relative alle iscrizioni ipotecarie, infine, di conseguenza e limitatamente alle voci contestate, di dichiararsi l’infondatezza e/o inefficacia e/o illegittimità dell’esecuzione, con conseguente adozione di tutti i provvedimenti di legge.
L’art. 615 co. 2 c.p.c., che disciplina l’opposizione all’esecuzione, include anche la contestazione dell’importo superiore indicato nel precetto (già notificato) rispetto a quanto dovuto; all’interno di una esecuzione tale opposizione deve essere presentata prima che il giudice disponga sull’assegnazione al creditore del bene, in questo caso una somma.
Secondo costante giurisprudenza, il precetto non é comunque sanzionabile con la nullità qualora tale atto intimi il pagamento di una somma superiore a quella effettivamente dovuta. L’eccessività della somma portata nel precetto, infatti, non travolge l’atto per l’intero, ma ne determina la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito dei poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito (Cassazione Civile, sez. III, 11 marzo 1992, n. 2938; Cassazione Civile, 27 febbraio 2008, n. 5515).
Il giudice dell’opposizione all’esecuzione, ove ritenesse che la corretta interpretazione del titolo esecutivo giudiziale comporti la riduzione della pretesa azionata dal creditore, non pronuncerà una sentenza di condanna del debitore al pagamento della minor somma così determinata, ma accerterà quale sia l’esatto ambito oggettivo e soggettivo del suddetto titolo e, conseguentemente, si pronuncerà sulla legittimità o meno dell’esecuzione già intrapresa, configurandosi, per l’appunto, siffatto giudizio come causa di accertamento negativo, totale o parziale, dell’azione esecutiva esercitata (Cassazione Civile, Sez. III, 24 aprile 2008, n. 10676).
Si nota infine come pur essendo stata promossa una contestazione da parte del debitore, e che nel caso specifico detta contestazione non tocca le ulteriori voci dell’atto di precetto, si può affermare che il minor importo al netto delle voci contestate, ma comunque vantato dal creditore, legittimerebbe comunque quest’ultimo a dare ulteriore impulso alla procedura, precludendo ogni ipotesi di sospensiva.
(Federico Dal Lago – f.dallago@lascalaw.com)
Aggiornamento di novembre 2019
Con lo scopo di tenere costantemente aggiornati i nostri lettori, torniamo su uno tra gli argomenti più cliccati della rivista IusLetter: la validità di un atto di precetto contenente l’intimazione di una somma superiore a quella dovuta.
Ebbene, la questione veniva già affrontata nell’articolo pubblicato in data 12 giugno 2012, nel quale veniva ripreso il principio di diritto pronunciato dalla Corte di Cassazione nelle sentenze n. 2938/1992 e n. 5515/2008. In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità, il precetto non è sanzionabile con la nullità o inefficacia totale qualora questo intimi il pagamento di una somma superiore a quella effettivamente dovuta. L’eccessività della somma portata nel precetto, infatti, determina la nullità o inefficacia parziale per la somma eccedente, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente dovuta. La determinazione del credito spetta al Giudice dell’opposizione al precetto, che è investito dei poteri di cognizione ordinaria.
Possiamo affermare che, sul punto, dal 1992 ad oggi l’orientamento è costante.
Le successive sentenze emesse dalla Corte di Cassazione n. 2160/2013 e n. 7207/2014 hanno, infatti, ribadito il predetto principio di diritto, anche ripreso nella recentissima ordinanza del Tribunale di Catania emessa il 13 settembre 2019, secondo cui l’eventuale maggior credito precettato non travolge l’atto di precetto per intero e pertanto – aggiunge il Tribunale – la procedura esecutiva può proseguire, così come espressamente disposto: “In realtà, anche depurando le rate non pagate dalla componente relativa agli interessi (e cioè accogliendo la tesi della nullità), non si ridurrebbe a zero il credito; ed è noto che, ove residui un debito, sia pure di entità minore rispetto a quello azionato, ciò non legittimerebbe la sospensione della procedura esecutiva, non potendo privarsi il creditore munito di titolo esecutivo della possibilità di dare impulso alla procedura, sia pure per una somma inferiore a quella azionata. Ciò in quanto “L’eccessività della somma portata nel precetto non travolge questo per l’intero, ma dà luogo soltanto alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella dovuta, con la conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma effettivamente spettante, alla cui determinazione provvede il giudice, che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito dell’opposizione in ordine alla quantità del credito” (Cass. 2160/2013). Dunque, da un esame sia pur sommario qual è quello che va compiuto in sede cautelare (ove non è possibile svolgere una CTU), non ricorrono i presupposti per sospendere la procedura esecutiva”.
Ludovica Citarella – l.citarella@lascalaw.com
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