Nella giornata di ieri (16 novembre 2022) è stata pubblicata l’invocata sentenza delle Sezioni Unite sul tema delle conseguenze della violazione del limite di finanziabilità previsto dall’art. 38 del Testo Unico Bancario.
Prima di entrare nel merito della soluzione fornita dalle Sezioni Unite, occorre brevemente ripercorrere i diversi orientamenti interpretativi sostenuti nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità.
Fino al 2017, l’orientamento giurisprudenziale era concorde nel ritenere che «l’art. 38 D.lg. 1 settembre 1993 n. 385, che, a tutela del sistema bancario, attribuisce alla Banca d’Italia il potere di determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, attiene ad un elemento necessario del contratto concordato fra le parti, qual è l’oggetto negoziale, e, pertanto, non rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 117 del medesimo decreto».
Dalla pronuncia n. 17352 del 2017, l’orientamento della giurisprudenza si è discostato dal precedente, aderendo alla diversa tesi per la quale la violazione del limite di finanziabilità comporta la nullità del negozio, facendo salva la possibilità di conversione del contratto ai sensi dell’art. 1424 c.c., ove ne sussistano i presupposti.
È in questo contrasto giurisprudenziale che si inserisce l’intervento delle Sezioni Unite, sollecitato dall’ordinanza interlocutoria n. 4117 del 2022 emessa dalla Prima Sezione.
La Prima Sezione era chiamata, infatti, a dirimere una vicenda riguardante l’ammissione al passivo di un credito relativo a un mutuo fondiario garantito da ipoteca di primo grado.
Nel primo grado del giudizio di opposizione allo stato passivo il Tribunale aveva escluso la natura fondiaria del mutuo, in quanto concesso per un importo superiore al limite stabilito dall’art. 38 TUB, e aveva di conseguenza ammesso il credito in chirografo.
In sede di impugnazione, la Corte d’Appello aveva accolto il gravame proposto, statuendo che la violazione del limite di finanziabilità non avesse quale conseguenza la nullità del sinallagma contrattuale.
Investita della questione, la Prima Sezione della Cassazione aveva, dunque, deciso di rimettere gli atti alle Sezioni Unite per trovare una soluzione all’annoso problema delle conseguenze derivanti dal superamento dei limiti di finanziabilità nel mutuo fondiario previsti dell’art. 38 secondo comma TUB.
Chiamate a dirimere la vexata quaestio, le Sezioni Unite hanno dapprima esaminato i diversi orientamenti giurisprudenziali affermatisi sul punto nel corso degli anni, per poi giungere ad affermare che la tesi più recente non convince per una serie di ragioni che di seguito si riassumono.
In particolare, il Collegio si domanda quando una norma possa avere natura imperativa, precisando che per poter essere tale la stessa deve prevedere un contenuto, specifico e caratterizzante, da poter definire essenziale, la cui mancanza renderebbe nullo il contratto. Al contrario non si può considerare imperativa una norma che contiene elementi meramente specificativi, integrativi o accessori di uno dei requisiti del contratto: secondo le Sezioni Unite, l’art. 38 TUB rientrerebbe in questa seconda categoria.
In altri termini, a giudizio del Collegio, non si può ritenere imperativa una norma che prevede un requisito a pena di nullità senza fornire gli elementi per definirlo: né l’art. 38 TUB, né la norma secondaria attuativa specificano, infatti, i «criteri di stima del valore dell’immobile, cui è rapportato in via percentuale l’ammontare massimo del finanziamento».
La conseguenza è evidente: «la nullità è predicabile per violazione di norme di fattispecie o di struttura negoziale solo se immediatamente percepibile dal testo contrattuale, senza laboriose indagini rimesse a valutazioni tecniche opinabili compiute ex post da esperti del settore», altrimenti – afferma il Collegio – si espone il contratto di mutuo ad «intollerabili incertezze derivanti da eventi successivi».
Peraltro, secondo il Collegio, l’art. 38 TUB non può dirsi norma imperativa nemmeno sotto il profilo dell’interesse protetto che nella specie, trattandosi di preservare la stabilità patrimoniale degli istituti di credito e impedire il verificarsi di situazioni di squilibrio tra garanzie acquisite e concessione di credito, non rientra nella categoria dei preminenti interessi generali della collettività o dei «valori giuridici fondamentali».
Chiarito questo aspetto, evidenzia la Suprema Corte che – per escludere la nullità del contratto per violazione dell’art. 38 TUB – è risolutivo l’argomento secondo cui si ha nullità solo quando la violazione della norma imperativa pone il contratto in contrasto con l’interesse specifico che la norma stessa intende salvaguardare.
Far discendere dalla violazione della soglia la nullità del contratto finirebbe per ledere, da una parte, proprio l’interesse tutelato dalla norma che è quello di preservare il valore della stabilità patrimoniale degli istituti di credito e, dall’altra, quello del mutuatario, che si vedrebbe costretto a restituire immediatamente le somme prese a prestito, con tutte le conseguenze sul proprio patrimonio e sulla sua attività di impresa.
Le Sezioni Unite giungono così ad esprimere il seguente principio di diritto: «il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto […]ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto» e «non integra norma imperativa la disposizione la cui violazione […] potrebbe condurrebbe al risultato di pregiudicare proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere».
Quanto, invece, alla tesi della diversa qualificazione del mutuo esondante il limite di finanziabilità (da fondiario a ipotecario, con disapplicazione dei privilegi previsti dal Testo Unico Bancario), il Collegio si è espresso in modo critico e ha pronunciato il seguente principio di diritto: «qualora i contraenti abbiano inteso stipulare un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario».
In conclusione, ci si auspica che l’intervento delle Sezioni Unite sia risolutivo delle controversie sorte a seguito del contrasto giurisprudenziale e che non venga successivamente disapplicato degli operatori del diritto per giungere a soluzioni difformi dal suo contenuto.