28.09.2023 Icon

Costituzione coattiva della Servitù di Passaggio

Quali sono i soggetti da coinvolgere nella azione volta a costituire coattivamente una servitù di passaggio?

La domanda sembra avere trovato una risposta all’esito di una serie di pronunce della Suprema Corte. Inizialmente, infatti, l’orientamento giurisprudenziale prevalente statuiva che “la costituzione della servitù di passaggio coattivo non è impedita dal fatto che il passaggio debba avvenire anche su fondi di altri proprietari, non presenti in giudizio, ben potendo l’attore provvedere nei loro confronti con domande separate e con accordi distinti, anteriori o successivi alla pretesa fatta valere in giudizio” e, per l’effetto, la domanda di costituzione di una servitù di passaggio coattiva non determinava la necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti dei proprietari degli altri fondi sui quali dovrebbe ugualmente realizzarsi il passaggio.

A questo indirizzo non si sono invece attenute Cass. 14 luglio 1980 n. 4515 e 5 aprile 1984 n. 2205, secondo cui “la domanda diretta alla costituzione di servitù di passaggio coattivo, per il caso in cui la situazione di interclusione non sia ovviabile mediante il transito su un solo fondo frapponentesi con la strada pubblica (vi siano o meno altri fondi contigui idonei al medesimo fine), ma richieda invece l’attraversamento di una pluralità di fondi, ubicati in consecuzione, deve essere proposta nei confronti di tutti i proprietari di detti ultimi fondi, in qualità di litisconsorti necessari, tenuto conto che la sentenza emessa nei confronti soltanto di uno di essi non produrrebbe alcun risultato pratico e non sarebbe suscettibile di esecuzione“.

Affrontando più recentemente la questione, le Sezioni Unite hanno ribadito l’adesione alla tesi inizialmente minoritaria, ribadendo che l’azione per la costituzione di servitù di passaggio in favore del fondo intercluso ai sensi dell’art. 1051 c.c., debba essere promossa, nel caso in cui si frappongano più fondi rispetto all’accesso alla via pubblica, nei confronti di tutti i proprietari di tali altri fondi, in qualità di litisconsorti necessari, poiché tale azione attiene ad un rapporto unico ed inscindibile, alla stregua dell’inidoneità di una pronuncia, che accolga domanda proposta contro uno od alcuni soltanto di detti proprietari, al soddisfacimento dell’utilità per cui l’azione medesima è contemplata, orientamento, però, sovente disatteso.

La Corte ha puntualizzato altresì che è nell’accesso alla strada pubblica che consiste l’oggetto del diritto riconosciuto dall’art. 1051 c.c. al proprietario del fondo intercluso e la servitù risulterebbe monca rispetto alla previsione normativa, priva di effettiva utilità e insuscettibile di esercizio se non in via puramente emulativa, ove fosse costituita soltanto per un tratto del percorso occorrente, in attesa di una sua futura, solo eventuale e ipotetica integrazione giudiziale o convenzionale. Si tratterebbe del frammento di qualcosa che la disposizione citata configura come unitario e indivisibile, poiché soltanto nella sua interezza può svolgere la funzione che gli è propria.

Ne discende che la carenza di una domanda formulata con tali limiti appare attenere non tanto al profilo soggettivo della integrità del contraddittorio, quanto piuttosto a quello oggettivo della congruità del petitum: non vi sono litisconsorti necessari pretermessi, poiché l’azione, come in concreto esercitata, non li riguarda. Ciò che difetta, in realtà, è quella essenziale condizione dell’azione che consiste nella “possibilità giuridica” – ossia nella sia pure solo astratta corrispondenza della pretesa accampata in giudizio a una norma che le dia fondamento – poiché il bene della vita reclamato dall’attore non gli è accordato dall’ordinamento.

Ne consegue che in questi casi non deve essere disposta l’integrazione del contraddittorio, ma che la domanda va rigettata perché diretta a far valere un diritto inesistente.

Autore Erica Aprile

Associate

Milano

e.aprile@lascalaw.com

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