La vicenda oggi affrontata si inserisce nell’ambito del complesso tema delle differenze tra patto di prelazione (volontaria) ed il contratto preliminare, in particolar modo sulla natura degli obblighi e degli impegni che possono essere assunti dalle parti nella fase delle trattative.
Durante la fase delle trattative, in vista della stipulazione del contratto, le parti possono scegliere di vincolarsi sia con negozi unilaterali sia con negozi bilaterali. Tra questi ultimi si annovera il contratto preliminare, con il quale possono obbligarsi alla stipula del contratto definitivo, il patto di opzione, con il quale possono riconoscere ad una parte il potere di concludere o meno il contratto ed il patto di prelazione, mediante il quale possono attribuire ad una parte il diritto di essere preferita ad altri nella conclusione del contratto.
Con particolare riferimento al patto di opzione, si è osservato che la parte che ha concesso all’altra il diritto di prelazione (c.d. promittente) è tenuta ad uno specifico comportamento qualora decida di stipulare il contratto.
Tale condotta si sostanzia nel dovere di comunicare (c.d. denuntiatio) tale intenzione al titolare del diritto di prelazione (c.d. prelazionario).
Tale comunicazione, se riscontrata positivamente, non determina, né la conclusione del contratto definitivo, né l’obbligazione di stipularlo, a differenza di quanto accade nel caso di contratto preliminare. Il promittente, infatti, può anche decidere di non stipulare alcun contratto con il prelazionario.
Perché sorga tale obbligo è necessaria una espressa previsione, ulteriore rispetto al mero patto di prelazione puro e semplice, concordata tra le parti.
In caso di violazione del patto di prelazione puro e semplice da parte del promittente (che ad esempio concluda con terzi il contratto cui esso inerisce, senza effettuare la denuntiatio) resta tuttavia fermo che il prelazionario può agire per il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento del promittente.
In proposito, infatti, il nostro ordinamento non prevede rimedi di tutela coercitivi: né il diritto di riscatto, riservato esclusivamente a specifiche ipotesi di prelazione di fonte legale e nemmeno rende possibile applicare a tale figura l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., principale rimedio per quanto concerne invece il contratto preliminare.
Come affermato dalla Cassazione, il patto di prelazione si esaurisce nel porre «a carico del promittente, un’immediata obbligazione negativa di non venderlo ad altri prima che il prelazionario dichiari di non voler esercitare il suo diritto di prelazione o lasci decorrere il termine all’uopo concessogli, ed un’obbligazione positiva avente ad oggetto la denuntiatio al medesimo della sua proposta a venderlo, nel caso si decida in tal senso».
In definitiva, la Corte di Cassazione ha chiarito che le figure negoziali bilaterali che emergono come possibili opzioni da vagliare nella fase delle trattative hanno indubbiamente effetti obbligatori, ma un patto di prelazione non è un contratto preliminare ed il titolare del diritto di prelazione non può fare affidamento sul rimedio tipico dell’art. 2932 c.c. (esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto) che consente di ottenere una sentenza idonea a produrre gli effetti del contratto non concluso.
Viene dunque rigettato il ricorso, non essendo accoglibile la tesi del ricorrente per cui il prelazionario ha diritto alla conclusione del contratto definitivo, tanto da poterne chiedere l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., alla stregua di un contratto preliminare.