La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22970 del 20 agosto 2024, ha respinto il ricorso presentato da Tizio contro il Ministero della Giustizia per il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a seguito del suicidio del figlio, avvenuto mentre era detenuto presso un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG).
Il ricorrente sosteneva che la struttura ospedaliera penitenziaria non avesse adeguatamente sorvegliato il figlio, nonostante il suo quadro clinico richiedesse un’assidua vigilanza e l’adozione di misure cautelative. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Roma avevano rigettato la domanda, escludendo l’esistenza di un rischio specifico di condotta autolesiva tale da rendere necessarie misure di contenimento fisico o piantonamento continuativo.
La Cassazione ha confermato le decisioni dei gradi precedenti, enunciando alcuni importanti principi di diritto:
1. L’omesso esame di un fatto decisivo, denunciabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., deve riguardare un fatto vero e proprio, non una questione o un punto della sentenza, e deve essere sia decisivo che oggetto di controversia tra le parti.
2. Non costituiscono “fatti” ai sensi della suddetta disposizione le argomentazioni difensive, gli elementi istruttori o le critiche agli elaborati peritali.
3. La mancata adozione di misure di contenimento o sorveglianza continuativa è giustificata dall’assenza di rischio suicidario riscontrata a breve distanza temporale dall’evento e dalla stabilità del quadro clinico del paziente.
4. L’efficienza causale di eventuali carenze organizzative o di vigilanza deve essere valutata in relazione alla storia clinica del paziente e alla prevedibilità ex ante della condotta autolesiva.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il “silenzio clinico” di tre mesi precedente al suicidio non fosse decisivo, in quanto il detenuto era stato sottoposto a costante trattamento farmacologico e visite psichiatriche, senza peggioramenti della sintomatologia. Inoltre, l’ultima visita di controllo, effettuata otto giorni prima del suicidio, aveva evidenziato un quadro clinico stazionario e l’assenza di rischio suicidario.
La sentenza sottolinea l’importanza di valutare la prevedibilità dell’evento sulla base delle informazioni disponibili al momento dei fatti, piuttosto che con il senno di poi. Nel caso in esame, la patologia del detenuto (schizofrenia paranoidea e disturbo da dipendenza di sostanze) era stata adeguatamente trattata farmacologicamente, e non vi erano elementi che imponessero l’adozione di specifiche misure cautelative o di sorveglianza.
Questa decisione ribadisce il principio secondo cui la responsabilità delle strutture sanitarie penitenziarie per eventi autolesivi dei detenuti non può essere automaticamente presunta, ma deve essere valutata caso per caso, considerando la storia clinica del paziente, l’adeguatezza delle cure fornite e la prevedibilità dell’evento sulla base delle informazioni disponibili al momento dei fatti.
La sentenza offre un importante orientamento per i casi futuri, bilanciando la necessità di tutelare la salute e la sicurezza dei detenuti con l’esigenza di non imporre alle strutture penitenziarie oneri di sorveglianza eccessivi o sproporzionati rispetto al rischio effettivamente prevedibile.