Una delle più note aziende del trasporto ferroviario italiano è stata evocata in giudizio in relazione a un grave disservizio occorso in occasione di viaggio effettuato da un treno regionale.
Precisamente, a causa di una forte nevicata a Roma e nel basso Lazio avvenuta nell’inverno 2012, un treno pendolari è rimasto isolato nella neve per quasi 24 ore, senza alcun tipo di assistenza ai passeggeri.
Una passeggera ha citato in giudizio la società di trasporti avanti il Giudice di pace di Cassino per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, in particolare di natura esistenziale. Il Giudice di pace accolse la domanda, condannando la società al rimborso del prezzo del biglietto (pari a € 5,25), oltre al risarcimento del danno esistenziale nella misura di € 400,00.
La società proponeva appello, contestando l’insussistenza del liquidato danno esistenziale. La sentenza del Tribunale, che confermava la statuizione del giudice di prime cure, veniva impugnata in Cassazione.
La società, in particolare, ha evidenziato la non imputabilità dell’inadempimento delle obbligazioni di assistenza ai passeggeri in caso di ritardo superiore ai sessanta minuti, a fronte dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per evento fortuito a causa di forza maggiore, e vale a dire la forte nevicata. Inoltre ha contestato la condotta colposa del creditore, in ragione del fatto che la passeggera, in presenza di simili condizioni meteo, avrebbe dovuto astenersi dal mettersi in viaggio.
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 28244 del 9 ottobre 2023, ha respinto il ricorso, con condanna della società ferroviaria per il maxi-ritardo durato quasi un intero giorno a causa del maltempo lasciando i passeggeri senza adeguata assistenza, e condanna per lite temeraria.
La Cassazione ha evidenziato come “il Tribunale, anche richiamando la motivazione del giudice di prime cure là dove ha constatato l’oggettività del ritardo di quasi ventiquattro ore e l’omissione di ogni adeguata assistenza, ha aggiunto che i bollettini metereologici risultavano aver chiarito in misura sufficiente – al di là quindi delle pur possibili evoluzioni ulteriormente peggiorative – a dover indurre l’esercente il servizio di trasporto ferroviario, cui quello si era impegnato contrattualmente, a predisporre, con precauzionale diligenza, misure organizzative di assistenza, indipendentemente, cioè, dalla possibilità di porle in essere, in forma ridotta, una volta concretizzata la situazione di emergenza”, e ciò “pur non potendo cancellare la tratta di quel giorno“.
Quanto al risarcimento del danno non patrimoniale derivante da inadempimento del contratto, la Suprema Corte ha rilevato come la tutela riparatoria del danno non patrimoniale, estesa a situazioni giuridiche soggettive di rango costituzionale, risponde alla tutela della libertà di autodeterminazione e di movimento che trova riconoscimento nella superiore normativa della Carta costituzionale. Pertanto i giudici di merito hanno correttamente ritenuto il travagliato viaggio di quasi ventiquattro ore continuative – in carenza di cibo, riscaldamento e possibilità di riposare – un’offesa effettivamente seria e grave all’individuabile e sopra rimarcato interesse protetto tale da non tradursi in frammentati disagi, fastidi e generica insoddisfazione.
È stata infine recisamente respinta l’eccezione relativa al concorso colposo del creditore, secondo cui la passeggera, in simili condizioni meteo, avrebbe dovuto astenersi dall’intraprendere il viaggio. In proposito, osserva il collegio, “la condotta che la creditrice della prestazione l’odierna ricorrente sostiene avrebbe dovuto nella specie mantenere, e cioè astenersi dal mettersi in viaggio, era in ogni caso inesigibile, in quanto le informazioni fornitele non erano tali da far prevedere che il tragitto non si sarebbe concluso in tempi ragionevoli, e di per sé incongruente, in quanto la passeggera si sarebbe trovata nella necessità di fare fronte al reperimento di un luogo ove soggiornare” nel corso del tragitto, esclusivamente a sue spese“.