Nel caso in esame, vertente in materia di agevolazioni ministeriali per attività produttive, la società Alfa aveva agito nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico in ragione del fatto che, dopo avere ricevuto la prima rata del contributo, aveva comunicato l’insorgenza di gravi e improvvise difficoltà finanziarie che le impedivano di ultimare il programma di investimenti, e che pertanto aveva deciso di rinunciare all’agevolazione.
I giudici di merito hanno respinto la domanda di accertamento della prescrizione estintiva del diritto del Ministero alla restituzione dell’importo erogato, accogliendo invece la domanda subordinata relativa alla non debenza della rivalutazione monetaria.
La vicenda è giunta dunque in Cassazione che, con ordinanza n. 12362 del 7 maggio 2024, ha accolto soltanto l’ultimo dei dieci motivi di ricorso, con il quale la società aveva lamentato la violazione e/o falsa applicazione – in relazione all’accertamento della buona o cattiva fede dell’accipiens ai fini della decorrenza degli interessi legali sul contributo percepito – degli artt. 1147,2033 e 2697 c.c.
In via generale, è noto in materia di indebito oggettivo che la buona fede dell’accipiens, rilevante ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda, va intesa in senso soggettivo, quale ignoranza dell’effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non trovando applicazione l’art. 1147, comma 2, c.c., relativo alla buona fede nel possesso.
In tale ottica, la Suprema Corte ha ritenuto che anche il dubbio particolarmente qualificato circa l’effettiva debenza della prestazione è compatibile con la buona fede e, per il caso in cui l’indebito è derivato dalla risoluzione del contratto per inadempimento, ha precisato che, agli effetti dell’art. 2033 c.c., la mera condotta inadempiente della parte non può essere considerata, di per sé, dimostrazione della mala fede di quest’ultima.
La buona fede è, infatti, presunta per principio generale, sicché grava sul solvens, che intenda conseguire gli interessi dal giorno del pagamento, l’onere di dimostrare la malafede dell’accipiens all’atto della ricezione della somma non dovuta, quale consapevolezza della insussistenza di un suo diritto a conseguirla.
Nel caso di specie, tale accertamento non risulta effettuato, tenuto conto che il contributo era stato erogato in attuazione di un decreto ministeriale, che lo aveva concesso e ne aveva previsto le modalità di erogazione.
La Suprema Corte ha dunque affermato il principio di diritto per cui “in materia di indebito oggettivo, la buona fede dell’accipiens, rilevante ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda, va intesa in senso soggettivo, quale ignoranza dell’effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave – dal momento che non trova applicazione l’art. 1147, comma 2, c.c., relativo alla buona fede nel possesso – sicché, dovendo quest’ultima essere presunta per principio generale, la mala fede può ritenersi sussistente solo ove risulti provato che l’accipiens, al momento della ricezione del pagamento, avesse la certezza di non avere diritto a conseguirlo“.