È possibile domandare il risarcimento del danno qualora il contratto preveda una clausola penale? E, in caso affermativo, occorre limitarlo quantitativamente all’importo contrattualmente previsto quale clausola penale?
Sul quesito si è pronunciata la Seconda Sezione della Cassazione Civile, nella recentissima ordinanda pubblicata il 25 ottobre scorso.
Nel caso in esame il promittente venditore di un immobile ha convenuto in giudizio i promissari acquirenti, chiedendo che fosse pronunciata la risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento e che questi ultimi fossero condannati al risarcimento dei danni conseguenti alle condotte inadempienti perpetrate.
La domanda è stata accolta dal Tribunale competente che ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare e condannato i promissari acquirenti al risarcimento del danno nella misura che l’attore era riuscito a provare e quantificare.
Avverso la sentenza di primo grado hanno proposto appello i promissari acquirenti chiedendo che la condanna al risarcimento del danno fosse ridotta in misura corrispondente alla clausola con la quale le parti avevano predeterminato l’ammontare del risarcimento del danno in caso di inadempimento.
Ritenendo fondata tale ultima tesi, la Corte d’Appello ha accolto la domanda riducendo l’importo della condanna nella misura prevista dalla clausola penale e la sentenza è stata impugnata dal promittente venditore innanzi alla Cassazione.
Investita della questione la Cassazione ha colto l’occasione per ribadire alcuni fondamentali principi di diritto.
In primo luogo, secondo la Suprema Corte, la richiesta di applicazione di una clausola penale non può considerarsi implicitamente contenuta nella domanda di risoluzione del contratto per inadempimento ovvero in quella per risarcimento del danno, stante l’indipendenza di tali domande rispetto a quella di pagamento della penale.
In secondo luogo, è consentito alla parte di non avvalersi della clausola penale e, dunque, di richiedere il risarcimento di un danno di diverso ammontare, quale conseguenza di un inadempimento, a patto che venga dimostrato e quantificato l’effettivo pregiudizio.
Ciò in quanto la parte contrattualmente danneggiata può invocare l’ordinario risarcimento dei danni in alternativa alla disciplina della clausola penale.
Da ultimo, afferma la Cassazione, la possibilità di confinare il danno nei limiti della clausola penale pattuita, ove non sia espressamente prevista la risarcibilità di un danno ulteriore, è possibile solo laddove la parte si sia avvalsa della clausola e non già allorché abbia deciso di avvalersi del regime risarcitorio ordinario, sottoponendosi al relativo onere probatorio sull’an e sul quantum.
Sulla scorta di tali argomentazioni la Cassazione ha accolto il ricorso del promittente venditore.