La recente sentenza della Cassazione n. 3329/2025 affronta due questioni cruciali in tema di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti: la natura dell’obbligo di mantenimento rispetto all’obbligazione alimentare e l’applicazione del principio di proporzionalità nel concorso dei genitori.
Il caso riguarda un giovane universitario che, allontanatosi dalla casa materna, aveva ottenuto dal Tribunale di Torino la condanna della madre al versamento di un assegno mensile di 900 euro, oltre al 50% delle spese straordinarie, mentre il padre già gli corrispondeva un assegno di 1.082 euro mensili.
La Corte d’Appello aveva poi revocato l’assegno posto a carico della madre, mantenendo solo l’obbligo di contribuire alle spese straordinarie, sulla base di due argomentazioni: da un lato, aveva ritenuto applicabile la disciplina dell’art. 443 c.c. in materia di obbligazioni alimentari, che consente all’obbligato di scegliere tra il versamento di un assegno e l’accoglimento del beneficiario nella propria casa; dall’altro, aveva considerato sufficiente il contributo già versato dal padre.
La Suprema Corte, accogliendo il ricorso del figlio, ha operato una netta distinzione tra obbligo di mantenimento e obbligazione alimentare. L’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti trova la sua disciplina nel combinato disposto degli art. 337 ter e 337 septies c.c., che delineano un sistema completo e autonomo rispetto alla disciplina degli alimenti. Mentre l’obbligazione alimentare ha natura meramente assistenziale e mira a garantire la sopravvivenza del beneficiario, l’obbligo di mantenimento ha una portata più ampia, comprendendo tutto ciò che è necessario per la formazione e lo sviluppo della personalità del figlio.
La Cassazione ha quindi stabilito che la scelta del genitore di accogliere il figlio nella propria casa non può costituire una modalità alternativa di adempimento dell’obbligazione, come invece previsto dall’art. 443 c.c. per gli alimenti. Tale circostanza può rilevare solo come elemento da valutare ai fini della quantificazione dell’assegno, insieme agli altri criteri previsti dall’art. 337 ter c.c.
Quanto al secondo profilo, la Corte ha ribadito che la determinazione del contributo al mantenimento deve rispettare il principio di proporzionalità, come previsto dall’art. 316 bis c.c.. Non è quindi sufficiente rilevare che un genitore già versa un assegno, ma occorre valutare comparativamente le consistenze economiche di entrambi i genitori, tenendo conto anche del tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza familiare.
La sentenza si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale che, pur riconoscendo la natura “sostanzialmente alimentare” dell’assegno di mantenimento ai fini della compensazione e della ripetizione delle somme già versate, ne afferma la piena autonomia sul piano della disciplina sostanziale. L’obbligo di mantenimento trova infatti il proprio fondamento diretto nell’art. 30 della Costituzione e si caratterizza per una maggiore ampiezza contenutistica rispetto all’obbligazione alimentare, dovendo garantire al figlio non solo il sostentamento ma anche un adeguato percorso di crescita e formazione fino al raggiungimento dell’autonomia economica.
La pronuncia fornisce quindi importanti coordinate interpretative sia sul piano sistematico, chiarendo i rapporti tra mantenimento e alimenti, sia sul piano applicativo, ribadendo la necessità di una valutazione comparativa delle risorse dei genitori nella determinazione dei rispettivi contributi. Ne emerge un quadro in cui l’autonomia abitativa del figlio maggiorenne, pur non costituendo un diritto assoluto, non può essere compressa attraverso l’imposizione unilaterale della convivenza da parte del genitore obbligato al mantenimento.