Tizia, licenziata in tronco per vari motivi illeciti, integranti peraltro gli estremi di reato, essendo rimasta ormai disoccupata, richiedeva, in sede di modifica delle condizioni di divorzio, un assegno divorzile in proprio favore a carico dell’ex coniuge che le veniva riconosciuto.
Avverso il provvedimento proponeva ricorso per Cassazione l’ex-marito sostenendo che la condotta delittuosa e volontaria della ex moglie, idonea a farle subire un licenziamento disciplinare, come conseguenza immediata e diretta del reato compiuto in danno del datore di lavoro, deve essere definita come ipotesi ostativa all’insorgenza del diritto a percepire l’assegno divorzile, dovendo tale situazione essere equiparata all’abbandono volontario dal lavoro, situazione in cui la Corte di Cassazione, in passato, aveva ritenuto l’insussistenza del diritto all’assegno di divorzio.
I giudici di legittimità hanno innanzitutto ricordato che con la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018 è stata riconosciuta all’assegno di divorzio, oltre che una funzione compensativa e perequativa, anche una funzione assistenziale e che ai fini del riconoscimento dell’assegno andrà accertata l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
La Corte di Cassazione è decisa nell’affermare di non condividere la prospettazione del ricorrente.
Il caso richiamato dal ricorrente ove, a suo dire, la Corte di Cassazione aveva escluso l’insorgenza del diritto all’assegno divorzile nel caso di volontario abbandono del lavoro muoveva infatti da premesse diverse: la scelta di non riconoscere l’assegno dipendeva unicamente dal fatto che la ex moglie si trovava ancora nel pieno della propria capacità lavorativa e dunque pienamente capace di procurarsi i mezzi per il proprio sostentamento.
Nel precedente richiamato il mancato riconoscimento del diritto all’assegno non è stato considerato come una sorta di “sanzione” per il coniuge debole che si è posto volontariamente in una situazione di difficoltà economica, ma è dipeso dall’insussistenza dell’oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati.
Nel caso di specie, invece, seguendo il ragionamento dell’ex-marito, non riconoscere l’assegno divorzile sarebbe proprio una “sanzione” ai danni della ex moglie.
Infatti, pur non contestando che quest’ultima si trovi nell’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive, il solo fatto che la situazione di difficoltà economica in cui la stessa attualmente versa sia dipesa da una sua condotta volontaria (addirittura dolosa) comporterebbe, a dire del marito, la perdita del diritto di usufruire della solidarietà dell’ex coniuge (principio cui è ispirato il riconoscimento dell’assegno divorzile).
La Corte sottolinea che tale impostazione è assolutamente estranea alla disciplina dettata sia dall’art. 5, che dalla L. n. 898 del 1970, art. 9.
In particolare, già in passato, nell’interpretare la L. n. 898 del 1970, art. 9, è stato affermato che la volontarietà di una eventuale diminuzione dei redditi non può essere ritenuta dal giudice di merito ragione sufficiente per escludere l’esistenza dei giustificati motivi idonei alla revisione dell’eventuale assegno divorzile.