Un bambino veniva considerato affetto da problemi psichici, quando, in realtà, aveva, dalla nascita, un problema di udito, peraltro risolvibile con una semplice protesi.
Si scopriva, quindi, che, nei primi mesi di vita, i medici avevano commesso un gravissimo errore, non diagnosticando la sordità del bimbo.
Il Tribunale adito ha quindi condannato un centro specialistico privato e l’Azienda sanitaria locale al risarcimento dei danni per oltre 72mila euro come ristoro economico per il danno causato dalla ritardata diagnosi di sordità e 20mila euro per il danno morale ed esistenziale patito, in particolare, dalla madre.
La vicenda vede coinvolto un bambino a quale, su indicazione del pediatra, vengono eseguiti alcuni esami di approfondimento sulle sue capacità uditive.
Gli accertamenti audiologici portano i medici della struttura privata a refertare che «l’udito è nella norma».
Esclusi, quindi, problemi uditivi, passano gli anni, ma le preoccupazioni aumentano poiché il bambino continua a presentare nella crescita evidenti difficoltà nel linguaggio.
I genitori, con il supporto dell’Azienda sanitaria locale, optano per un trattamento logopedico.
Passaggio centrale drammatico, in quel percorso, è la certificazione dell’handicap del bambino, con tanto di un test – per la misura del quoziente intellettivo e dell’abilità cognitiva – particolarmente adatto per bambini ed adolescenti con ritardo cognitivo e con disturbi verbali.
Alla fine del trattamento logopedico, dopo circa 6 anni dalla nascita, in seguito ad ulteriori accertamenti, viene finalmente accertato che il bambino è afflitto da “ipoacusia bilaterale prevalente sinistra di entità medio-grave”.
Per il legale della famiglia non vi sono dubbi: la colpa è delle due strutture citate in giudizio in quanto «l’inescusabile omessa diagnosi di sordità proviene da un centro di alta specializzazione audiologica e ad essa si è aggiunta la mancata percezione, da parte anche degli operatori dell’Azienda sanitaria locale”, tanto da chiedere un risarcimento superiore ai 400mila euro.
Per il giudice del Tribunale è impossibile mettere in dubbio le ripercussioni negative subite – per un lungo, ma limitato arco temporale – dal bambino e dalla sua famiglia, con conseguente risarcimento fissato in 72mila.
Meritevole di tutela anche il danno morale ed esistenziale della madre del bambino, risarcito con 20mila euro, poiché «una madre di un piccolo bambino per il presumibile e documentato (dalle innumerevoli visite del bimbo) patema d’animo di una mamma che ha fatto di tutto per assicurare al bambino le migliori cure, portandolo di continuo alle visite e ai trattamenti, senza mai ottenere alcun riscontro, per ben sei anni, in un crescendo di speranze continuamente deluse, e con crescenti angoscia ed inquietudine esistenziale e sofferenza per la condizione di un figlio di tenera età, di cui non si poteva prevedere la possibilità di cura».