Il comodato di un bene immobile, che sia concesso con destinazione abitativa, si protrae anche a seguito del disgregarsi del nucleo familiare.
È questo il principio di diritto ribadito dalla recentissima ordinanza n. 27634, emessa dalla Cassazione il 29 settembre scorso.
Nel caso esaminato, due coniugi avevano concesso in comodato al proprio figlio, senza determinazione di tempo, una porzione di mansarda di loro proprietà, posta sopra l’immobile da essi abitato.
Successivamente il figlio si era spostato, aveva avuto due figli e la mansarda era stata adibita ad abitazione familiare.
Dopo il divorzio l’immobile, presso il quale erano stati collocati i minori, era stato assegnato alla ex moglie del figlio.
Nel 2016 i proprietari dell’immobile avevano presentato ricorso al Tribunale competente al fine di rientrare nel possesso dell’unità immobiliare, deducendo di doverla adibire ad abitazione di una badante per poter essere assistiti ventiquattro ore al giorno.
Dopo aver qualificato il contratto come precario, il Tribunale aveva accolto la domanda dei ricorrenti, condannando i resistenti a rilasciare l’immobile.
Tale decisione era però stata ribaltata dalla Corte d’appello, circostanza che aveva spinto i proprietari delusi a ricorrere in Cassazione.
Ebbene, prendendo le mosse dal caso in esame, la Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire che il comodato di un bene immobile, stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, ha un carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, sicché il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c. e ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante.
E poiché, nel caso in esame, la restituzione della mansarda era stata richiesta dai ricorrenti all’indomani del divorzio e in assenza di un grave, imprevisto, dimostrato e urgente bisogno dei comodanti, posto che nella loro abitazione disponevano di ben ventitré stanze, il ricorso è stato rigettato.