29.11.2023 Icon

L’onere della prova in capo al pedone investito dall’auto-pirata: in quali casi?

VICENDA GIUDIZIALE

Con atto di citazione il danneggiato conveniva in giudizio il FGVS (con cui non era stato possibile raggiungere una definizione bonaria della controversi), sul presupposto di essere stato investito e che, dopo l’impatto, l’autovettura investitrice si era allontanata repentinamente senza lasciare tracce e senza prestare i dovuti soccorsi; che nelle predette circostanze di tempo e luogo non era stato possibile annotare il numero di targa dell’autoveicolo pirata; che a seguito del sinistro aveva riportato gravi lesioni personali.

Il Fondo costituendosi contestava la fondatezza in fatto e diritto della domanda, deduceva: in via preliminare, l’improcedibilità ed improponibilità della domanda in quanto la richiesta risarcitoria avanzata in via stragiudiziale non conteneva tutti gli elementi previsti dalla normativa di settore; nel merito, che non era stata provata l’imputabilità del sinistro alla condotta colpevole di un veicolo rimasto sconosciuto; che la vittima dell’incidente stradale non aveva provato di aver tenuto una condotta diligente e rispettosa delle norme del codice della strada: che la quantificazione dei danni subiti non era stata provata in ogni sua componente né svolta con svolta secondo criteri obiettivi. Ciò posto concludeva in via preliminare, affinché fosse accertata e dichiarata l’improponibilità e l’improcedibilità dell’azione; nel merito, affinché fosse rigettata la domanda attorea, con vittoria di spese.

Svolta l’istruttoria attraverso l’audizione di due testi di parte attrice e l’espletamento di una consulenza tecnica medico-legale la causa veniva riservata in decisione concludendo il Tribunale per l’accoglimento della domanda attorea.

MOTIVI ACCOGLIMENTO

Nella fattispecie in esame può ritenersi adeguatamente provata la dinamica del sinistro narrata nell’atto introduttivo, trovando tale descrizione conferma nell’escussione testimoniale, nella espletata consulenza tecnica d’ufficio oltre che nella documentazione processuale allegata, in particolare, nel referto ospedaliero di pronto soccorso e nella denuncia-querela sporta presso la Stazione dei Carabinieri di Lusciano.

L’intervento del Fondo di garanzia per le vittime della strada, poi, nei casi di sinistri causati da veicolo non identificato impone all’attore di provare non solo le modalità del sinistro e del veicolo responsabile, ma anche dimostrare che tale veicolo è rimasto sconosciuto (Cass. Civ. sez. III 25.07.1995 n. 8086; Cass. Civ. Sez. III n. 12304 del 10.06.2005).

In sostanza, perché ricorra la responsabilità del Fondo di Garanzia per un danno causato da un veicolo non identificato non basta dimostrare il fatto storico di un incidente verificatosi per colpa del mezzo investitore, ma è necessario altresì provare che il veicolo responsabile sia rimasto sconosciuto nonostante il danneggiato abbia tenuto una condotta diligente volta ad individuarlo.

Dall’attività istruttoria svolta emerge un quadro probatorio che, complessivamente considerato, consente di ritenere dimostrata la sussistenza del fatto storico per cui è causa e in particolare, la non identificabilità dell’autoveicolo investitore.

Innanzitutto, l’effettiva sussistenza delle lesioni traumatiche quale danno-evento posto a fondamento della pretesa risarcitoria trova riscontro nel referto di pronto soccorso in cui viene riportato un “trauma da riferito incidente stradale”. Nel caso di specie, i genitori del danneggiato  hanno presentato in data 23.6.2016 denuncia-querela presso la Stazione dei Carabinieri di Lusciano, con ciò dimostrando di aver informato del fatto le autorità investigative facendo espresso riferimento ad un sinistro cagionato da un’auto pirata, essendo del tutto irrilevante la mancata indicazione della generalità dei testimoni nella denuncia-querela (Corte di Cassazione, sez. VI Civile- 3, ordinanza n. 10545/18) In tema di sinistri stradali causati da veicoli non identificati, la giurisprudenza ha precisato che la presentazione di una denuncia o di una querela contro ignoti non è condizione di proponibilità dell’azione di risarcimento del danno esperita, ai sensi dell’art. 19 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 nei confronti dell’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, né il danneggiato è tenuto ad attivarsi per identificare il veicolo in quanto l’accertamento giudiziale, nel cui contesto la presentazione o meno della denuncia o della querela costituisce un mero indizio, non riguarda la diligenza della vittima nel consentire l’individuazione del responsabile, ma la circostanza che il sinistro stesso sia stato effettivamente provocato da un veicolo non identificato (tra le altre, Cass. n. 23434/2014, Cass. n. 374/2015, Cass. n. 27541/2016).

Invero, la dinamica dell’incidente stradale dedotta in citazione risulta corroborata dalle dichiarazioni rese in sede di denuncia, nell’ambito della quale i genitori del ragazzo imputavano le lesioni traumatiche subite dal figlio ad un investimento provocato da un autoveicolo rimasto sconosciuto perché datosi alla fuga senza che fosse possibile annotarne la targa.

Sul piano dei rilievi probatori, le modalità dell’accadimento dannoso narrate nella domanda vengono confermate dalle dichiarazioni dei testi di parte attrice, i quali descrivono con precisione le circostanze di tempo e luogo nell’ambito delle quali avveniva l’investimento stradale subito dal pedone, emergendo in modo inequivoco che non si era potuto risalire all’identificazione dell’autovettura investitrice in quanto subito dopo il sinistro la stessa faceva perdere le proprie tracce.

In particolare, quanto alla dinamica dell’evento dannoso, i testi escussi, da ritenersi attendibili, per avere reso dichiarazioni sufficientemente circostanziate e coerenti, e per aver assistito visivamente ai fatti di causa, confermavano il verificarsi dell’incidente stradale secondo le modalità allegate da parte attrice nell’atto introduttivo, consentendo quindi di attribuire all’autovettura responsabile dell’infortunio la qualifica di veicolo non identificato.

Priva di pregio è la censura mossa dalla Compagnia convenuta circa il mancato riconoscimento della vittima da parte dei testi prima dell’investimento, atteso che l’orario notturno in cui si verificava il sinistro e le condizioni di scarsa illuminazione della strada al momento dell’impatto “la strada in quel momento era molto scarsamente illuminata (dichiarazione teste) avrebbero potuto impedire il riconoscimento dell’attore ad una distanza di circa 20 metri.

I testi escussi, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, hanno dunque confermato, con dichiarazioni univoche e concordanti, la ricostruzione della vicenda storica dedotta in citazione ed il verificarsi del trauma subito dall’attore agli arti inferiori causa della colpevole condotta di guida tenuta da un autoveicolo rimasto sconosciuto.

Le dichiarazioni testimoniali relative alla riconducibilità eziologica delle lesioni personali riportate da AC alla caduta al suolo determinata dall’impatto con l’autoveicolo pirata risultano poi corroborate dalla consulenza tecnica medico-legale.

Sul piano degli elementi probatori relativi alla dinamica del sinistro e alla sue conseguenze pregiudizievoli oggetto di valutazione giudiziale nel caso di specie occorre precisare che, coerentemente con quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito che riconosce convincenti le conclusioni del consulente tecnico non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni che lo inducono a fare propri gli argomenti dell’ausiliare se dalla indicazione della consulenza tecnica possa desumersi che le contrarie deduzioni delle parti siano state rigettate, dato che in tal caso l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso. Di modo che, soltanto nel caso in cui i rilievi all’operato del consulente tecnico avanzati dopo il deposito della relazione (e che, quindi, non hanno ricevuto risposta nella stessa) si presentino specifici, puntuali e suffragati da elementi di prova, il giudice, che ritiene di uniformarsi al parere del consulente tecnico, non può sottrarsi al dovere di esporre le ragioni per le quali ha ritenuto infondati i medesimi rilievi (Cass. 9/12/1995 n. 12630; 7.6.2000, n. 7716; 11.3.2002 n. 3492).

La consulenza tecnica medico-legale espletata nel corso del processo dal CTU dott. S D , u n i t a m e n t e alle r i s u l t a n z e p r o b a t o r i e p r e c e d e n t e m e n t e a n a l i z z a t e , consente di ritenere dimostrata, in primo luogo, l’ammissibilità del nesso di causalità materiale tra l’evento traumatico (l’investimento ad opera di un’autovettura) e le lesioni iniziali riportate dal danneggiato.

Si rileva quindi in consulenza che i postumi invalidanti permanenti concernenti la compromissione anatomica e funzionale degli arti inferiori sono in pieno rapporto causale con le lesioni traumatiche riscontrate, essendosi accertato in particolare che risultano “soddisfatti i criteri di compatibilità per nesso cronologico, topografico, efficienza quali-quantitiva, continuità nella seriazione dei fenomeni con esclusione di altri momenti etiologici, potendosi quindi ritenere provato che le conseguenze pregiudizievoli derivate dall’evento dannoso risultano “per dinamica lesiva, momento di evidenziazione clinica, evoluzione riparativa e documentazione esibita” compatibili con la modalità di svolgimento dell’incidente stradale descritto in citazione.

L’investimento di un pedone, da parte di un automobilista, come nel caso de quo, costituisce una tipica ipotesi di evento dannoso derivante dalla circolazione stradale “senza scontro tra veicoli”, che pone, a carico del conducente il veicolo, una presunzione, iuris tantum, di colpa.

In caso di sinistro coinvolgente un pedone, gravando sul conducente la presunzione di colpevolezza stabilita dall’art. 2054 comma 1c.c., egli si presume comunque responsabile del sinistro, salvo provi l’esclusiva o concorrente responsabilità del pedone nella causazione del sinistro, tenendo conto che a tal fine non rileva una semplice anomalia nella condotta del pedone, ma occorre che la stessa non sia stata ragionevolmente prevedibile.

Ragion per cui il superamento della presunzione in un senso favorevole al conducente fa gravare sullo stesso, sul proprietario o sulla compagnia assicurativa del veicolo investitore, l’onere di fornire la prova concreta ed effettiva dell’esclusiva responsabilità del pedone che sia in grado di escludere oggettivamente ogni apporto causale relativo al comportamento del conducente, o di limitarlo quantitativamente mediante la dimostrazione del concorso causale del pedone, non essendo sufficiente a tal fine una mera difesa in ordine alla verifica dell’esistenza del fatto; da ciò discende che la verifica dell’an debeatur” dell’illecito da circolazione deve considerarsi dal complesso degli elementi obiettivi e confessori raccolti in atti, che potranno essere contrastati soltanto da specifici elementi contrari di valutazione, dovendosi accertare se il pedone abbia tenuto una condotta pericolosa e imprudente, tale da concorrere, ai sensi dell’articolo 1227, primo comma c.c., con al colpa presunta del conducente” (cfr. cass. Civ., n. 18872 del 10.7.2008).

Nel caso di specie, la Compagnia Assicurativa convenuta non ha offerto elementi specifici e circostanziati tali da revocare in dubbio l’esistenza del fatto storico o da ingenerare il convincimento che le lesioni personali patite dall’attore si siano verificata con modalità o conseguenze diverse da quelle descritte e documentate.

Sul punto la X non ha fornito alcuna prova contraria o dedotto circostanze idonee a dimostrare, sia pur presuntivamente, la sussistenza del comportamento colposo del danneggiato, ed in che modo lo stesso possa aver influito sulla dinamica causale del sinistro al punto tale da poter individuare una sua quota di responsabilità nella causazione del sinistro.

Vale aggiungere che per la Suprema Corte, l’art. 2054 c.c., pone una regola nella quale la prevenzione è prevalentemente a carico del conducente, il quale deve dimostrare di aver fatto il possibile per evitare il danno. Una tale prova liberatoria può essere fornita certamente allegando l’imprudenza del pedone, ma solo se questa si presenti come condotta imprevedibile (Cass. 8663/2017).

In sostanza, il danno non è imputabile (del tutto o in parte) al conducente non semplicemente quando abbia concorso a cagionarlo (in tutto o in parte) il pedone, ma quando la condotta di quest’ultimo, pur se colpevole, non era prevedibile al punto da impedire al conducente di evitare l’investimento“: così Cassazione civile sez. III 28/2/2020 n. 5627, che pure evidenzia che “il rapporto tra l’art. 2054 c.c. e l’art. 1227 c.c. è nel senso che la prevenzione è affidata, prevalentemente, al conducente, il quale è esente solo davanti a comportamenti imprevedibili del pedone, non solo colposi, ma, per l’appunto, imprevedibili ed inevitabili“.

Nel caso di specie, sulla base della dinamica del sinistro così come descritta dai testimoni esclusi, emerge che l’attore si trovasse a camminare sul margine destro della strada nella stessa direzione di marcia degli autoveicoli. Orbene, l’art. 190 del Codice della Strada stabilisce che “i pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti; qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione“. Dunque, nel caso di specie i testi hanno riferito che il danneggiato, al momento del sinistro, non stava camminando sul marciapiedi in quanto ricoperto da rifiuti. Sulla base della regola sopra richiamata il pedone avrebbe allora a quel punto dovuto camminare non sul margine destro ma su quello opposto della carreggiata (che era a doppio senso di marcia).

Tuttavia, una valutazione complessiva delle emergenze istruttorie non consente di ritenere dimostrato che la violazione di tale regola comportamentale posta dal Codice della Strada possa aver comunque configurato una condotta imprevedibile del pedone tale da risultare anche solo concausa, nel senso dianzi evidenziato, del sinistro. All’esito del giudizio non sono infatti emerse circostanze concrete e precise da cui desumere un comportamento anormale e del tutto imprevedibile da parte del pedone che fosse idoneo a superare la presunzione di responsabilità del conducente o ad incidere causalmente in ordine al verificarsi dell’evento dannoso.

Non è quindi configurabile un concorso di colpa, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., della persona investita, in quanto non è stato provato che il comportamento di quest’ultima sia stato improntato ad imprevedibilità, pericolosità ed imprudenza.

Autore Filippo Maria Rovesti

Lateral Partner

Roma

f.rovesti@lascalaw.com

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