Con la sentenza in commento, il Tribunale di Napoli ha rigettato il ricorso ex art. 281 decies proposto da un privato nei confronti della propria compagnia assicuratrice, per veder accertato l’obbligo di quest’ultima di risarcire il danno derivante dal furto dell’autovettura di proprietà del ricorrente, in forza dell’assicurazione contro il rischio di furto regolarmente stipulata con la compagnia resistente.
Più precisamente, il ricorrente deduceva che, nonostante il sinistro fosse stato regolarmente denunciato alla compagnia assicurativa e fosse stata consegnata tutta la documentazione necessaria alla regolare istruttoria, la compagnia aveva negato l’indennizzo contrattualmente pattuito e previsto, in virtù del fatto che “i danni lamentati non sono compatibili con la dinamica denunciata”. D’altra parte, la compagnia assicuratrice deduceva la carenza di prova sia del furto della vettura, sia del quantum della pretesa, da parametrarsi alle condizioni della vettura al momento del sinistro.
Il Tribunale, nel rigettare il ricorso, ha offerto un’interessante disamina della ripartizione dell’onere della prova nei contratti di assicurazione, con particolare riferimento alle garanzie contro il rischio di furto.
Il Tribunale, infatti, ha ricordato che, ai sensi dell’art. 1882 c.c., quello di assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana. Si tratta quindi di un contratto tipicamente aleatorio, la cui funzione principale consiste nel trasferire il rischio dall’assicurato all’assicuratore, a fronte del pagamento di una somma di denaro.
Quanto precede trova conferma nei principi espressi dalla giurisprudenza, anche di legittimità, in merito alla ripartizione dell’onere probatorio relative alle circostanze del sinistro. In particolare, evidenzia il giudice partenopeo, le clausole di un contratto di assicurazione contro il furto, che subordinano la garanzia assicurativa all’osservanza di determinati oneri, non realizzano una limitazione della responsabilità dell’assicuratore, ma individuano e delimitano l’oggetto del contratto ed il rischio dell’assicuratore stesso, per cui le stesse si configurano come elemento costitutivo del diritto all’ indennizzo, con la conseguenza che è onere dell’assicurato fornire la relativa prova, nel generale rispetto del principio dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c.
In concreto, dunque, la prova del furto del bene assicurato, che rappresenta il fatto costitutivo del diritto all’indennizzo assicurativo, non può limitarsi alla produzione della denuncia di furto presentata dall’assicurato (consistente in una mera dichiarazione di parte, come tale avente valore di semplice indizio), ma occorre che quest’ultimo dimostri che l’autovettura esisteva effettivamente, era idonea a svolgere la funzione sua propria di mezzo di locomozione e trasporto ed era dotata di un apprezzabile valore economico all’epoca della lamentata sottrazione. In altri termini, deve essere dimostrata la c.d. “preesistenza” dell’autovettura come veicolo funzionante e dotato di un apprezzabile valore economico. Tale prova può essere fornita, spiega il Tribunale, mediante la presentazione di vari documenti, quali la denunzia di furto, l’estratto cronologico generale e il certificato di spossessamento da richiedere al P.R.A., la carta di circolazione o un suo duplicato, il certificato di proprietà, la fattura di acquisto quietanzata e/o documentazione attestante il pagamento (copia bonifico, assegno, ecc.), la serie completa delle chiavi (due, rilasciate dal venditore al momento della consegna, altrimenti si potrebbe ritenere che l’autovettura sia stata asportata con le chiavi inserite e, quindi, non contro la volontà del proprietario, ma con sua colpa grave, ex art. 1900 cod. civ.).
Da ultimo, il Tribunale osserva come anche la prova del quantum della pretesa risarcitoria, consistente nella prova del valore del bene assicurato, incomba sull’assicurato ai sensi dell’art. 2697 c.c. Infatti, in materia di assicurazione contro i danni, la somma corrisposta dall’assicuratore all’assicurato assolve alla funzione di riparare al depauperamento patrimoniale da quest’ultimo in conseguenza del sinistro coperto dalla polizza, senza che tale somma – entro il massimale di polizza – possa da un lato lasciare scoperta parte della perdita patrimoniale, dall’altro comportare un arricchimento per l’assicurato.
Alla luce di quanto esposto, ciò che rileva non è il valore commerciale del veicolo al momento della stipula del contratto di assicurazione, né il valore massimo indennizzabile stabilito in polizza, quanto piuttosto il valore commerciale effettivo del veicolo al momento del sinistro, e quindi il valore reale, da individuarsi (ad opera dell’assicurato) secondo criteri quanto il più possibile oggettivi, del veicolo al momento del furto. Quanto precede è espressione del c.d. principio indennitario di cui all’art. 1908 c.c.
In conclusione, il Tribunale ha quindi rigettato la domanda del ricorrente/assicurato, ritenendo che lo stesso non abbia fornito la prova né dell’an (la preesistenza del veicolo e il verificarsi dell’evento furto, determinante il rischio coperto da garanzia) né del quantum (il valore del veicolo al momento del sinistro) della propria richiesta.