20.06.2023 Icon

Barriere architettoniche e ripartizione della responsabilità

Tizio, affetto da handicap grave e invalido civile al 100%, agisce contro il Comune, l’impresa costruttrice e l’amministratore del condominio lamentando il compimento da parte di questi di comportamenti discriminatori nei suoi confronti, dal momento che l’edificio in cui viveva presentava barriere architettoniche tali da impedirgli di godere appieno dell’accessibilità all’immobile.

Precisamente, secondo la prospettazione di Tizio, il Comune aveva rilasciato una concessione edilizia in sanatoria e successivo permesso di agibilità senza poi accertarsi di verificare la messa a norma dell’edificio. L’amministratore, dal canto suo, aveva posto in essere condotte in violazione di doveri che su di lui incombevano in qualità di amministratore del condominio.

Il Tribunale, in accoglimento della domanda di Tizio, ha ritenuto sussistente la responsabilità dei convenuti, liquidando il danno non patrimoniale in via equitativa, ripartendolo tra danno morale e danno esistenziale.

I giudici di secondo grado hanno confermato la responsabilità del Comune, riducendo tuttavia l’ammontare del danno riconosciuto.

La vicenda è stata poi sottoposta all’attenzione della Corte di cassazione, che, con l’ordinanza n. 17138 del 15 giugno 2023, ha ripercorso la disciplina applicabile in materia di non discriminazione delle persone con disabilità e la quantificazione del danno da parte di diversi soggetti.

La Suprema Corte, nell’affrontare la questione di diritto, ha analizzato le differenti tipologie di discriminazione previste dall’art. 2 della legge 67/2006: (i) la “discriminazione diretta”, quando una persona disabile viene trattata in modo diverso, in diritto o in fatto, rispetto a un soggetto abile; (ii) la “discriminazione indiretta”, quando “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, apparentemente neutri, mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ai soggetti abili”; e le molestie, ovvero i “comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che creino un clima di intimidazione, umiliazione, offesa o ostilità nei confronti della persona disabile”.

In questo senso la Cassazione, richiamando quanto statuito dai giudici di appello, ha affermato che la Corte d’appello, nell’individuare la responsabilità del Comune, è incorsa in errore, dal momento che quest’ultimo ha rilasciato la concessione edilizia in sanatoria e il permesso di agibilità soltanto in epoca successiva, e neppure risultava evidenziato lo svantaggio patito dal disabile per lo specifico comportamento dell’amministrazione.

Precisamente, osserva la Cassazione, “il comportamento pregiudizievole – la realizzazione e la mancata eliminazione delle barriere architettoniche – non è stato posto in essere dall’ente pubblico mediante l’adozione degli atti amministrativi in questione, intervenuti solo in epoca successiva alla costruzione e solo in parte annullati, e non risulta evidenziato lo svantaggio che sarebbe conseguito per il disabile a seguito dello specifico comportamento dell’ente”.

La condotta discriminatoria, dunque, è ricaduta soltanto in capo al costruttore e all’amministratore di condominio, venuti meno ai loro doveri.

Autore Pasquale Parisi

Associate

Milano

p.parisi@lascalaw.com

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