Tra gli istituti di diritto penale più “maneggiati” dal legislatore negli ultimi anni vi è certamente quello della prescrizione del reato, ossia il termine – decorrente solitamente dalla data di commissione dell’illecito – che una volta decorso fa venire la pretesa dello Stato alla punizione dell’imputato.
L’istituto risponde a due precise esigenze dell’ordinamento. Da un lato, la prescrizione esplica i propri effetti sulla finalità rieducativa della pena. Ebbene, tenendo conto che ai sensi dell’art. 27 comma 3 Cost. la sanzione penale ha quale scopo primario la rieducazione di un soggetto che ha commesso un reato, in assenza della prescrizione tale principio verrebbe gravemente frustrato.
A titolo esemplificativo, un soggetto ha commesso un reato (magari “bagatellare”) potrebbe rispondere di tale azione anche a distanza di molti anni (quando potrebbero essere venute meno le esigenze rieducative del reo, con conseguente illegittimità della sanzione penale).
Dall’altro lato, la prescrizione del reato è un istituto atto a garantire la ragionevole durata del processo, prevista dall’art. 111 Cost. e 6 CEDU.
La prescrizione era già stata riformata dalla c.d. “Riforma Bonafede”, la quale – insieme alla c.d. “Legge Spazzacorrotti” (L. 3/2019) – aveva previsto che il termine di prescrizione si interrompesse dopo la sentenza di condanna di primo grado. La riforma, dunque, prevedeva che in caso di condanna, il reo potesse essere sottoposto sine die ai successivi gradi di giudizio.
Riforma che presentava quindi evidenti criticità in relazione sia al principio rieducativo della pena e, soprattutto, sulla ragionevole durata del processo (anche in considerazione dell’ormai nota lentezza dell’apparato giudiziario italiano nella definizione dei procedimenti pendenti).
Al riguardo è poi intervenuta la L. 134/2021, con cui il legislatore – pur mantenendo sospeso il decorso della prescrizione in caso di condanna di primo grado – ha introdotto l’art. 344 bis c.p.p., il quale prevede termini entro cui, a pena di improcedibilità, i giudici di appello e di Cassazione devono definire i processi.
Da ultimo, è appena iniziata alla Camera dei Deputati la discussione sulla nuova proposta di legge (C.893) di riforma della prescrizione.
Il progetto di riforma prevede che il termine di prescrizione rimanga sospeso per due anni dopo la sentenza di condanna di primo grado e per un anno dopo la sentenza di condanna in appello.
Nel caso in cui poi il giudice di appello o la Cassazione pronuncino una sentenza di proscioglimento o di annullamento della sentenza di condanna, il periodo in cui la prescrizione è stata sospesa in forza della pronuncia di condanna torna a essere conteggiato ai fini dell’estinzione del reato.
Certamente, il progetto di riforma è ben lontano dalla sua definitiva approvazione, ma potrebbe rappresentare un assetto (ci auguriamo) definitivo di un istituto che funge da “garanzia temporale” dell’imputato rispetto ad una pretesa punitiva statale altrimenti senza fine, se non con una sentenza definitiva che potrebbe essere emessa anche a distanza di molti anni dalla commissione del reato.