31.07.2023 Icon

L’attualità del pericolo di recidiva

È noto che l’applicazione di una misura cautelare a carico dell’indagato nel corso di un procedimento penale richieda stringenti presupposti applicativi. Ciò in forza del principio di rango costituzionale della presunzione di innocenza, previsto dall’art. 27 Cost.

Tali presupposti si individuano, da un lato, nei gravi indizi di colpevolezza. Dall’altro lato, ravvisano nei c.d. “pericoli di cautela”. Laddove vi sia una carenza di tali pericoli, alcuna misura cautelare può essere applicata ad un soggetto sottoposto a procedimento penale.

Tra detti pericoli poi, quello che nella prassi ricorre con maggiore frequenza – insieme al rischio di fuga del reo – è certamente la reiterazione del reato, ossia il rischio che l’indagato commetta nuovamente il delitto per cui è sottoposto a procedimento penale.

Il codice prevede espressamente che il pericolo di recidiva – affinché possa giustificare l’applicazione di una misura cautelare – non possa essere valutato da un Giudice in astratto nella sua possibilità, ma debba essere attuale e concreto.

Proprio l’attualità e la concretezza del pericolo di recidiva sono state oggetto di una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione relativa all’applicazione della misura degli arresti domiciliari a carico di un consigliere di amministrazione di una società (Cass. pen., Sez. VI, sent. 10 luglio 2023, n. 29932).

Orbene, nel caso deciso dagli ermellini, il GIP presso il Tribunale di Brindisi applicava la misura degli arresti domiciliari a carico del consigliere di amministrazione di una società indiziato di corruzione asseritamente commessa in relazione al proprio ufficio. Subito dopo l’applicazione della misura cautelare, l’indagato veniva destituito dalla carica di consigliere di amministrazione.

Il Tribunale del Riesame, nondimeno, riteneva comunque che – nonostante la cessazione della carica – vi fosse il pericolo che l’indagato potesse commettere nuovamente il reato ipotizzato a suo carico.

Il Supremo Consesso, annullando senza rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame, ha ritenuto che “in tema di misure cautelari personali, la valutazione prognostica sfavorevole sul pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede non è impedita dal fatto che l’incolpato abbia dismesso l’ufficio o la funzione, nell’esercizio dei quali ha realizzato la condotta criminosa; tale valutazione richiede, tuttavia, la presenza di specifiche circostanze fattuali idonee a comprovare il concreto pericolo che l’agente, svolgendo una diversa attività, continui a porre in essere ulteriori condotte analoghe”.

Secondo gli ermellini, dunque, la cessazione della carica di amministratore nell’ambito della quale il reo avrebbe commesso un delitto non è da sola sufficiente per ritenere cessato il rischio che l’indagato commetta nuovamente il reato a lui contestato. Tuttavia, in caso di cessazione della carica, è necessario che vi siano ulteriori circostanze da cui desumere il rischio di recidiva.

Autore Stefano Gerunda

Lateral Partner

Milano

s.gerunda@lascalaw.com

Desideri approfondire il tema Penale Commerciale ?

Contattaci subito

Autore Andrea Caprioglio

Associate

Milano

a.caprioglio@lascalaw.com