18.09.2023 Icon

Il recupero illecito di rifiuti tramite “messa in riserva” è un reato permanente

Da anni il legislatore, e conseguentemente l’Autorità Giudiziaria, hanno convogliato notevoli sforzi nella tutela dell’ambiente e del territorio.

Da ultimo, ma non per importanza, nel 2022 è stato modificato l’art. 9 della nostra Carta Costituzionale, con cui è stato sancito definitivamente che la Repubblica Italiana “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.

In tale prospettiva deve essere interpretata la normativa in materia ambientale che, seppur risalente rispetto alla modifica del dettato costituzionale, disciplina attentamente le modalità di tutela del territorio, di bonifica e gestione dei rifiuti.

Questi ultimi rappresentano uno dei principali argomenti in tema di tutela dell’ambiente. La normativa ambientale, infatti, con specifico riferimento al D.Lgs. 152/2006, prevede un’apposita disciplina in merito alla gestione dei rifiuti, alle autorizzazioni necessarie affinché le imprese possano gestire gli stessi nonché numerose sanzioni penali in caso di violazioni.

Proprio riguardo alle sanzioni penali in tema di rifiuti è intervenuta recentemente la Suprema Corte di Cassazione che – con Cass. pen., Sez. III, sent. 12 settembre 2023, n. 37114 – si è espressa in merito ad una contestazione sollevata a carico di una società ex D. Lgs. 231/2001 in merito a un’attività di recupero non autorizzato di rifiuti (reato contravvenzionale previsto dall’art. 256 comma 1 D. Lgs.).

Secondo gli ermellini, la società avrebbe effettuato un’attività di recupero di rifiuti in mancanza delle relative autorizzazioni, depositando nel 2013, nell’area prospicente l’impianto di recupero, tre cumuli di rifiuti speciali, qui “messi in riserva” per poi essere recuperati o smaltiti.

La società, condannata dai Giudici di merito, nondimeno, con il proprio ricorso ha evidenziato come il reato di recupero illecito di rifiuti – diversamente dal reato di deposito incontrollato di rifiuti, previsto dal comma 2 dell’art. 256 – non possa essere ritenuto un reato permanente, ma istantaneo.

Sicché, secondo la ricorrente, il reato si sarebbe ormai prescritto, atteso che il termine di prescrizione sarebbe dovuto decorrere dal 2013, ossia da quando i rifiuti venivano accatastati e “messi in riserva”.

La Corte ha chiarito come il reato di recupero di rifiuti privo delle dovute autorizzazioni possa atteggiarsi quale reato istantaneo, permanente o abituale, a seconda delle modalità di commissione.

La sentenza evidenzia come la “messa in riserva” di rifiuti, consistito nello stoccaggio finalizzato al successivo recupero degli stessi, assuma le caratteristiche del c.d. “reato permanente” fintanto che il gestore non ottenga le relative autorizzazioni per il recupero ovvero non rimuova le scorie “messe in riserva”.

Solo in seguito a tali circostanze può iniziare quindi a decorrere il termine di prescrizione del reato.

Autore Andrea Caprioglio

Associate

Milano

a.caprioglio@lascalaw.com

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