Tra le varie sanzioni che possono essere applicate all’imputato in caso di condanna non vi è solo quella della reclusione (tipica del diritto penale), ma vi possono essere anche quelle accessorie.
Queste sono varie e possono ricomprendere l’interdizione dai pubblici uffici, il divieto di contrattare con la PA o esercitare una specifica attività, ecc. Tra le tante, una sanzione accessoria che spesso consegue alla condanna penale è quella della confisca, ossia il trasferimento della proprietà di beni in favore dello Stato.
Proprio in tema di confisca si è recentemente espressa la Suprema Corte di Cassazione che, nell’ambito del noto procedimento riguardante la Banca di Vicenza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2641 bis c.c. La norma dispone espressamente che in caso di condanna per reati societari, debba essere disposta la confisca obbligatoria non solo del prodotto o del profitto del reato, ma anche quella dei beni utilizzati per commetterlo.
Il caso della Banca vicentina riguarda la supposta commissione dei reati di aggiotaggio (art. 2637 c.c.) e di ostacolo alle funzioni di vigilanza (art. 2638 c.c.), mediante finanziamenti per un importo pari ad oltre 950 milioni di euro. Di talché, il Tribunale di Vicenza, con la propria sentenza di condanna, applicava a carico degli imputati la sanzione della confisca per tale importo ultra-milionario, in ossequio a quanto disposto dall’art. 2641 bis c.c.
La Corte di Appello di Venezia revocava poi la sanzione, ritenendola sproporzionata. Avverso la decisione dei Giudici veneziani proponeva ricorso la Pubblica Generale di Venezia.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rilevato come l’estensione della confisca ai beni utilizzati per commettere il reato – non limitandosi all’apprensione del prodotto o del profitto del reato – si ponga in contrasto con gli artt. 3, 27 e 42 Cost. (e con altre norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo).
La questione rilevata dagli ermellini trae origine dalla precedente decisione della Consulta n. 112/2019, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 187 sexies TUF, nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo.
Con la propria ordinanza di rimessione al Giudice delle Leggi, la Cassazione ha rilevato che la confisca dovrebbe essere limitata al solo profitto, in quanto tale ablazione garantisce appieno la funzione ripristinatoria. L’estensione della confisca ai mezzi utilizzati per commettere il reato potrebbe invece, come nel caso di Banca di Vincenza, assumere carattere sproporzionato, in violazione, appunto, degli artt. 3, 27 e 42 Cost.
La “palla”, dunque, passa alla Corte Costituzionale, la quale dovrà esprimersi in merito alla legittimità di tale tipologia di confisca, già dichiarata illegittima in relazione ai reati previsti dal TUF.