Come ormai noto, in attuazione della direttiva europea 2019/1937, il D.Lgs. 24/2023 si è occupato di dettare una disciplina unitaria del c.d. “Whistleblowing”, ossia l’istituto volto a proteggere le persone che segnalano la violazione di disposizioni normative nazionali o dell’Unione Europea, di cui ne abbiano appreso notizia nell’esercizio della propria attività lavorativa.
Anzitutto, il legislatore si è preoccupato di introdurre l’obbligo di garantire, salvo specifiche ipotesi, la riservatezza dell’identità del segnalante
Altresì, è stato disposto il divieto di atti ritorsivi quando questi siano irrogati in conseguenza della segnalazione.
Infine, è stata prevista la non punibilità in caso di diffusione di informazioni protette.
Particolare attenzione merita il divieto di atti ritorsivi, disciplinato dall’art. 17 del D.Lgs 24/2023, che è stato oggetto di recenti pronunce giurisprudenziali.
Nello specifico, il legislatore, consapevole della oggettiva difficoltà di provare la ritorsività degli atti, ed al fine di accordare una effettiva tutela del “Whistleblower”, ossia di colui che effettua le segnalazioni, ha sancito un’inversione dell’onere probatorio nelle controversie, giudiziali e stragiudiziali, aventi ad oggetto l’accertamento di condotte vessatorie poste in essere nei confronti del segnalante.
Dunque, dalla lettura del testo normativo emergerebbe che il lavoratore sia tenuto esclusivamente ad evidenziare la conseguenzialità fra segnalazione e provvedimento mentre il datore di lavoro sia chiamato a dimostrare che le misure asseritamente discriminatorie siano state applicate per ragioni estranee alla segnalazione.
Tale tutela non costituisce però una novità assoluta nel nostro ordinamento, dato che era già stata introdotta dalla precedente L. 179/2017, lettura peraltro confermata anche dalle linee guida in materia di whistleblowing adottate dall’ANAC.
Il Tribunale di Milano, con sentenza pronunciata nel dicembre 2023 (Trib. Milano, sez. lav. Sent. n. 3854 del 13.12.2023), è intervenuto sul tema offrendo un interessante spunto interpretativo.
Nel caso di specie, il lavoratore ha adito il Tribunale Meneghino al fine di ottenere la nullità (ex art. 54 bis, comma 1 del D.Lgs. 165/2001) dei provvedimenti sanzionatori a lui irrogati successivamente alla presentazione di molteplici segnalazioni asserendo che, proprio in virtù della conseguenzialità temporale intercorrente tra le segnalazioni ed i provvedimenti sanzionatori, si dovesse ritenere dimostrata la ritorsività delle misure sanzionatorie adottate dal lavoratore.
Orbene, il Tribunale, aderendo al precedente orientamento della Corte d’Appello di Milano (Corte d’Appello Milano, sent. n. 13804 del 2017), ha ritenuto che non trovasse applicazione la tutela accordata dall’art. 54 bis del D. Lgs. 179/2017, oggi prevista dall’art. 17 del D.Lgs. 24/2023, e che dunque non operasse alcuna inversione dell’onere probatorio e presunzione di ritorsività.
In particolare, il Tribunale ha sottolineato la notevole distanza temporale intercorrente tra le prime segnalazioni e le sanzioni comminate al lavoratore.
In tal modo, il Giudice sembrerebbe ricondurre la tutela offerta dal legislatore, non ad una presunzione assoluta di ritorsività, quanto piuttosto ad una presunzione di causalità tra la segnalazione ed il provvedimento datoriale.
Pertanto, a fronte del decorso di un lasso di tempo considerevole, verrebbe meno la summenzionata presunzione di causalità, con onere in capo al lavoratore di provare che la misura adottata nei suoi confronti sia riconducibile alla segnalazione effettuata.
Dunque, nel caso oggetto di trattazione, il Tribunale ha ritenuto disattendere la previsione normativa specifica ed applicare la regola generale di riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c.
Poiché però il lavoratore si era semplicemente limitato a rilevare la consequenzialità temporale intercorrente tra le segnalazioni ed i provvedimenti disciplinari, l’Organo Giudicante ha ritenuto infondata la domanda in quanto non sufficientemente provata.
Sebbene l’orientamento giurisprudenziale fornito dal Tribunale di Milano non trovi al momento notevole diffusione, ha senz’altro il merito di provare a fornire dei limiti temporali, seppure ancora vaghi, alla tutela accordata.
Inoltre, sebbene l’orientamento del Tribunale di Milano non costituisca ad oggi l’orientamento giurisprudenziale prevalente, la commentata sentenza ha il pregio di ridurre l’onere probatorio in capo al datore di lavoro.
Se così non fosse, si potrebbe incorrere nel rischio di un abuso, da parte del whistleblower, dello strumento di tutela offerto dal legislatore, con conseguente timore per il datore di lavoro di effettuare qualsiasi contestazione al prestatore di lavoro segnalante, anche in caso di grave inadempimento.