22.12.2023 Icon

Salario minimo: il Giudice può correggere la contrattazione collettiva

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi, ancora una volta, sul principio costituzionale del salario minimo.

In particolare, ad avviso della Cassazione, l’art. 36 Cost. garantisce due diritti distinti: quello ad una retribuzione “proporzionata“, ossia commisurata alla quantità e alla qualità dell’attività prestata, e quello ad una retribuzione “sufficiente“, la quale dà diritto ad una retribuzione che, a seconda del momento storico e delle concrete condizioni di vita esistenti, assicuri al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

I predetti criteri giuridici costituiscono le direttrici imprescindibili sulla cui base deve essere determinata la misura della retribuzione minima secondo la Costituzione.

Il custode del diritto al salario minimo costituzionale è il Giudice, il quale, nell’ambito dell’operazione di raffronto tra il salario di fatto e quello costituzionale, è tenuto ad effettuare una valutazione coerente e funzionale allo scopo, rispettosa dei criteri della sufficienza e della proporzionalità.

In tale operazione, secondo quanto hanno tenuto a precisare gli Ermellini, non può essere assunto a riferimento un salario lordo (che non si riferisce ad un importo interamente spendibile da un lavoratore), confrontandolo con l’indice ISTAT di povertà.

Quanto a quest’ultimo indice, si è osservato invero che, pur potendo aiutare ad individuare una soglia minima invalicabile, non è di per sé indicativo del raggiungimento del livello del salario minimo costituzionale, il quale, come già rilevato, deve essere proiettato ad una vita libera e dignitosa e non solo non povera.

Il trattamento economico deve essere, dunque, orientato non esclusivamente verso il soddisfacimento di meri bisogni essenziali ma verso qualcosa in più, che la recente Direttiva UE sui salari adeguati individua nel conseguimento anche di beni immateriali (quali, la partecipazione ad attività culturali, educative e sociali).

I parametri che il Giudice può utilizzare per stabilire la misura di una retribuzione giusta e dignitosa sono i più disparati.

Tra questi, si citano ad esempio:

– applicare, in sostituzione di quello ritenuto illegittimo, il trattamento previsto da un diverso contratto collettivo di settore affine o per mansioni analoghe;

– utilizzare parametri differenti da quelli contrattuali e fondare la pronuncia sulla natura e sulle caratteristiche della concreta attività svolta, su nozioni di comune esperienza e, in difetto di utili elementi, anche su criteri equitativi;

– fare riferimento all’importo della Naspi o della CIG, alla soglia di reddito per l’accesso alla pensione di inabilità oppure all’importo del reddito di cittadinanza.

Va ulteriormente evidenziato che l’oggetto dell’intervento giudiziale può riguardare non solo il diritto del lavoratore di richiamare, in sede di determinazione del salario, il CCNL della categoria nazionale di appartenenza, ma anche il diritto di uscire dal salario contrattuale della categoria di pertinenza, atteso che, per la cogenza dell’art. 36 Cost., nessuna tipologia contrattuale può ritenersi sottratta alla verifica giudiziale di conformità ai requisiti sostanziali stabiliti dalla Costituzione.

Infatti, pur con tutta la prudenza con cui bisogna approcciare la materia retributiva ed il rispetto della riserva di competenza attribuita normalmente alla contrattazione collettiva, la Suprema Corte ha ribadito come i criteri di sufficienza e proporzionalità stabiliti nella Costituzione siano gerarchicamente sovraordinati alla legge e alla stessa contrattazione collettiva ed abbiano contenuti (anche attinenti alla dignità della persona) che preesistono e si impongono dall’esterno nella determinazione del salario.

In conclusione, è possibile affermare che anche nel nostro paese esiste un salario minimo, oltre il quale non può scendere neppure la contrattazione collettiva, nonostante quest’ultima sia ritenuta la “massima autorità salariare”.

Il Giudice, infatti, in caso di violazione della normativa costituzionale, è chiamato ad intervenire disapplicando il contratto collettivo e procedendo alla quantificazione della giusta retribuzione.

Autore Rachele Spadafora

Senior Associate

Bologna

r.spadafora@lascalaw.com

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