La Direttiva 2000/78/CE è un importante strumento normativo dell’Unione Europea volto a promuovere la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.
Questa direttiva stabilisce un quadro generale per combattere le discriminazioni basate su religione, convinzioni personali, disabilità, età e orientamento sessuale, cercando di garantire l’effettiva attuazione del principio di parità di trattamento negli Stati Membri.
L’obiettivo principale di tale disposizione è eliminare qualsiasi forma di discriminazione, diretta o indiretta, assicurando che tutte le persone siano trattate equamente nel contesto lavorativo.
La Direttiva distingue tra discriminazione diretta e indiretta:
- Discriminazione diretta: si verifica quando una persona è trattata meno favorevolmente rispetto ad altre persone in situazioni analoghe. Un esempio potrebbe essere un datore di lavoro che rifiuta di assumere una persona qualificata semplicemente a causa della sua età o orientamento sessuale.
- Discriminazione indiretta: si manifesta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri creano uno svantaggio per determinate categorie di persone, a meno che:
- tali disposizioni, criteri o prassi siano giustificati da una finalità legittima e i mezzi utilizzati siano appropriati e necessari; oppure
- per le persone con disabilità, il datore di lavoro sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, in conformità con i principi di cui all’articolo 5 della direttiva, per compensare gli svantaggi creati.
Inoltre, la Direttiva impone ai datori di lavoro l’obbligo di adottare misure adeguate per garantire pari opportunità, in particolare per le persone con disabilità, conformemente ai principi stabiliti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
In Italia, queste disposizioni sono state recepite con il D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, successivamente modificato dal D.L. 76/2013, che impone ai datori di lavoro pubblici e privati l’obbligo di adottare “accomodamenti ragionevoli” per garantire alle persone con disabilità pari condizioni di lavoro rispetto agli altri lavoratori.
Tali normative rappresentano un passo fondamentale per creare ambienti di lavoro inclusivi e rispettosi della diversità.
Recentemente, la Corte di Cassazione ha fornito ulteriori chiarimenti in tema di discriminazione indiretta (cfr. Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 11731 del 02.05.2024; Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 14316 del 22.05.2024).
La Suprema Corte ha ribadito che la discriminazione indiretta opera in modo oggettivo, basandosi sull’effetto delle azioni o politiche adottate dal datore di lavoro, senza che sia necessario provare un intento discriminatorio da parte del datore di lavoro.
In pratica, un trattamento deteriore riservato al lavoratore disabile può costituire discriminazione indiretta anche se non vi è stata volontà di danneggiare o penalizzare il dipendente.
Tuttavia, un elemento cruciale evidenziato nelle pronunce sopra citate è la conoscenza o la conoscibilità della condizione di disabilità del lavoratore da parte del datore di lavoro.
Infatti, i Giudici di legittimità hanno precisato che la discriminazione indiretta può essere riconosciuta solo se il datore di lavoro era, o avrebbe dovuto essere, a conoscenza della disabilità del dipendente.
Questo principio si collega strettamente agli oneri del datore di lavoro, che deve attivarsi per adottare accomodamenti ragionevoli, essenziali per prevenire situazioni discriminatorie e tutelare i dipendenti. Le pronunce giurisprudenziali esaminate, dunque, rafforzano l’obbligo del datore di lavoro di garantire un trattamento equo e di adeguare le proprie prassi aziendali per evitare discriminazioni indirette, evidenziando l’importanza di un approccio proattivo e consapevole nel rispetto dei diritti dei lavoratori con disabilità.