La Corte Costituzionale è di recente intervenuta per censurare la norma sui licenziamenti discriminatori, nulli e orali, contenuta nel decreto legislativo n. 23/2015, recante le disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (di attuazione della legge delega 183/2014, c.d. Jobs Act).
In particolare, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, dell’art. 2, comma 1 del decreto sopra citato, limitatamente alla parola “espressamente”.
Prima dell’intervento della pronuncia in oggetto, la norma di cui sopra disponeva che il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordinasse al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto.
Ciò posto, la sentenza che ci accingiamo ad esaminare trae origine da una vicenda riguardante un dipendente che, assunto con mansioni di autista, all’esito di una contestazione disciplinare aveva chiesto, ai sensi della normativa speciale prevista per gli autoferrotranvieri, di essere nuovamente sentito a propria difesa, e che, come previsto in casi di questo genere, si pronunciasse il Consiglio di Disciplina.
Nonostante l’espressa richiesta del lavoratore, il Consiglio di Disciplina non era stato costituito e l’Azienda aveva comunicato il provvedimento disciplinare di destituzione.
La Corte di appello di Firenze, investita della questione in secondo grado, aveva dichiarato la nullità del procedimento disciplinare e della conseguente sanzione; tuttavia, il Collegio aveva escluso l’applicabilità della tutela reintegratoria poiché quest’ultima sarebbe stata riservata, per disposizione normativa, ai soli casi di licenziamento nullo espressamente previsti dalla legge.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1 del d. lgs. n. 23/2015, ritenendolo contrastante con i principi e i criteri direttivi dettati dalla legge delega e, pertanto, emanato in violazione dell’art. 76 della Costituzione.
Più precisamente, la Corte rimettente ha censurato la norma nella parte in cui, nell’individuare il regime sanzionatorio per i licenziamenti nulli, limita la tutela reintegratoria ai casi di nullità «espressamente previsti dalla legge» nonostante tale limitazione non fosse rinvenibile nella legge delega.
La Corte Costituzionale ha ritenuto la questione fondata muovendo innanzi tutto dall’interpretazione della legge di delega, la quale non riportava affatto la distinzione tra nullità «espressamente» previste (c.d. nullità testuali) e nullità non esplicitamente dichiarate come tali da una specifica disposizione, ma che lo sono per contrasto con norme imperative (nullità c.d. virtuali).
Ne consegue che la distinzione tra nullità testuali e virtuali non è riconducibile ad alcuno dei criteri direttivi individuati dalla legge delega.
Ad avviso della Corte, considerazioni convergenti sovvengono anche dal punto di vista dell’interpretazione sistematica.
Infatti, sarebbero rimaste senza regime sanzionatorio le fattispecie di licenziamenti nulli privi della espressa (e testuale) previsione della nullità, i quali:
- per un verso, non avendo natura “economica”, non possono rientrare tra quelli per i quali la reintegra può essere esclusa;
- per altro verso, in ragione della disposizione censurata, non appartengono a quelli per i quali questa tutela va mantenuta,
In sostanza, il legislatore delegato ha distinto le ipotesi di nullità espressa rispetto a quelle di nullità non espressa, ma, nel contemplare la tutela reintegratoria per le prime, nulla ha invece previsto per le seconde.
Per le ragioni sopra esposte, il legislatore delegato non avrebbe potuto procedere ad alcuna “specificazione” nell’ambito della fattispecie del licenziamento nullo.
La Corte Costituzionale ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, limitatamente alla parola «espressamente».
Per effetto di tale pronuncia il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra anche l’espressa (e testuale) sanzione della nullità, sia che ciò non sia espressamente previsto.
Occorre, però, pur sempre che la disposizione imperativa rechi, in modo espresso o no, un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti.
La pronunzia in commento è pienamente condivisibile, posto che la differenziazione operata dal decreto legislativo sul regime di tutele applicabili nel caso di licenziamento nullo, oltre ad essere del tutto irragionevole, non trovava alcun fondamento nella legge delega.