15.09.2023 Icon

A quali condizioni i reiterati comportamenti del lavoratore possono giustificare il licenziamento?

Un elemento a cui spesso il datore di lavoro deve fare attenzione nella valutazione delle sanzioni disciplinari da irrogare al dipendente è quello della recidiva, ossia la ripetizione della medesima violazione in un determinato arco temporale.

Il tema è stato di recente affrontato da una interessante sentenza della Suprema Corte.

Il caso trae origine dal licenziamento per giustificato motivo soggettivo di una lavoratrice, la quale si era in più occasioni resa negligente nell’esecuzione dei compiti affidatile dal datore di lavoro.

Più precisamente, la dipendente in questione era stata sanzionata già due volte in passato per comportamenti analoghi (una prima volta con il provvedimento del rimprovero scritto e una seconda volta con la multa di quattro ore).

Ebbene, il datore di lavoro, che non aveva contestato la recidiva, ne ha tuttavia tenuto conto nella valutazione della gravità della condotta, specificamente del livello di negligenza e improduttività nella prestazione lavorativa, concludendo il procedimento disciplinare con il licenziamento della lavoratrice.

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento, ha censurato il provvedimento irrogato per i motivi che esamineremo di seguito.

In particolare, gli Ermellini hanno osservato come il datore di lavoro non possa irrogare un licenziamento disciplinare quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal CCNL in relazione ad una determinata infrazione.

Ed infatti condotte che pur astrattamente ed eventualmente sarebbero suscettibili di integrare una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di recesso ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative.

D’altronde, le norme sul concetto di giusta causa o giustificato motivo soggettivo e sulla proporzionalità della sanzione sono pur sempre derogabili in meglio dalle parti.

Nel caso in esame, in forza del CCNL applicato al rapporto di lavoro, le condotte idonee a consentire il licenziamento erano esclusivamente due:

  • la “particolare gravità” delle infrazioni punibili con sanzione conservativa;
  • oppure, in alternativa alla precedente, la recidiva in mancanze sanzionate con due provvedimenti di sospensione nell’arco di un anno dall’applicazione della prima sanzione.

Secondo la Cassazione, una lettura sistematica delle citate previsioni contrattuali porta ad escludere che il requisito della “particolare gravità” possa coincidere con la recidiva in infrazioni punite con sanzioni conservative meno gravi (come ritenuto dal datore di lavoro nel caso di specie), in quanto ciò vanificherebbe la previsione secondo cui occorrono invece due provvedimenti di sospensione, e si tradurrebbe nella applicazione di un trattamento deteriore rispetto a quello concordato e voluto dalle parti sociali.

Dunque, la “particolare gravità” a cui si riferisce la contrattazione collettiva, idonea a legittimare la sanzione espulsiva, deve necessariamente essere integrata e motivata in relazione alle caratteristiche intrinseche, oggettive e soggettive delle condotte, non potendo, al contrario, esaurirsi nel rilievo dato ai precedenti disciplinari diversi e meno gravi della sospensione.

In sostanza, ad avviso della Suprema Corte, la reiterazione del comportamento, che si ha per effetto della mera ripetizione della condotta in sé considerata, non è irrilevante, incidendo comunque sulla gravità del comportamento posto in essere dal lavoratore, che, essendo ripetuto nel tempo, realizza una più intensa violazione degli obblighi del medesimo.

Tale comportamento, quindi, può essere sanzionato in modo più grave, ma questa regola, valida in generale, deve misurarsi con le disposizioni disciplinari del contratto collettivo e non può tradursi in un mezzo per prescindere dalla graduazione delle condotte di rilievo disciplinare come concordata dalle parti sociali con l’effetto di realizzare un trattamento peggiorativo per il lavoratore.

In conclusione, è possibile affermare che, prima di procedere con il licenziamento disciplinare di un lavoratore, occorre prestare molta attenzione alle disposizioni della contrattazione collettiva, le quali potrebbero escludere la legittimità di un licenziamento, che invece sarebbe perfettamente valido in virtù delle regole generali.

Autore Rachele Spadafora

Senior Associate

Bologna

r.spadafora@lascalaw.com

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