30.09.2019 Icon

Uno stop in California alla gig-economy?

Ancora una volta vengono dalla California i segnali di un cambiamento nel mondo dei servizi della società dell’informazione[1]. Qualcuno addirittura parla di rivoluzione e fine della gig economy!

La legge Assembly Bill 5 (nota anche come AB5) potrebbe di fatto equiparare i rider, ma anche altre categorie di lavoratori digitali (baby sitter, idraulici, fattorini, ecc.), a regolari dipendenti delle piattaforme, con tutti i benefici e le integrazioni salariali del caso.

Il test ABC

Attraverso la chirurgica modifica del Labor Code e del Unemployment Insurance Code, la AB-5 lo scorso 18 settembre, sulla scorta dell’insegnamento della Corte Suprema della California nel caso Dynamex [2], ha impresso una svolta decisiva, con effetto dal 1° gennaio 2020, alla definizione di autonomous contractor (l’equivalente del nostro collaboratore a co.co.co. o analoghe forme di lavoro parasubordinato). La legge dispone che in via generale un lavoratore è sempre considerato dipendente dell’azienda per cui svolge la prestazione, salvo che il titolare di quest’ultima non dimostri il contrario superando il c.d. ABC test secondo il quale, si è in presenza di collaboratore autonomo se ricorrono tutte le tre seguenti circostanze:

  1. – la persona, per contratto o nei fatti, non è soggetta a controllo e direzione dell’impresa;
  2. – la persona svolge un lavoro che è al di fuori del normale corso degli affari dell’impresa;
  3. – la persona è abitualmente impegnata in uno stabile e indipendente commercio, professione o affare della stessa natura di quelli dell’impresa.

Come si vede, la novità nel panorama generale è la lettera B. l’AB-5, infatti, oltre a guardare al rapporto di controllo e direzione del datore di lavoro (lett. A) e all’effettiva indipendenza del lavoratore (lett. C), si concentra sulla prestazione tipica. Se il lavoratore svolge una mansione che consiste nel «normale corso degli affari dell’impresa», allora egli deve essere considerato lavoratore dipendente a tutti gli effetti, e non mero collaboratore, pur essendo egli libero e autonomo sotto ogni altro aspetto.

La distinzione operata dal test non è da poco, poiché il lavoratore dipendente accede ad una serie di tutele di cui non gode il collaboratore autonomo (salario minimo, ore massime di lavoro, pause pranzo e turni di riposo, assicurazione, dotazioni, limiti al licenziamento, ecc. ).

Il «normale corso degli affari»

La Corte, nel citato caso Dynamex, ha chiarito che la prestazione ricade nel «normale corso degli affari dell’impresa» se il lavoro prestato «non è distinguibile da quello che ci si aspetterebbe da un normale impiegato dell’impresa stessa»[3]. Si tratta ovviamente di un punto delicato che non mancherà di sollevare raffinati dibattiti nelle aule di giustizia.

Ma lo spirito sotteso all’ABC test rimane quello di essere inclusivo nell’operazione di classificazione dei lavoratori attirandoli quanto più possibile all’interno della disciplina del rapporto di lavoro dipendente o quantomeno di evitare il ricorso opportunistico a modelli contrattuali inadeguati in spregio ai diritti del lavoratore.

Finirà la gig economy?

E’ dubbio che, contrariamente a quanto sbandierato dai media, la AB-5 spazzerà via la gig economy. Già Uber sostiene di poter superare il test, e forse non ha torto, se mantiene la sua configurazione di mero facilitatore di incontro tra domanda e offerta.

Il dubbio invece resta per altri casi, laddove la piattaforma si propone proprio di fornire il servizio svolto dai lavoratori. UberEats, Deliveoo, Glovo, JustEat, sono aziende la cui prestazione tipica è la consegna di pasti a domicilio, svolta tuttavia da manodopera impiegata con forme di collaborazione occasionale che possono nascondere un vero e proprio rapporto di lavoro dipendente, ma senza le tutele e garanzie di quest’ultimo.

In questi casi l’approccio radicale e generale della AB-5 potrebbe effettivamente cambiare le cose costringendo questi colossi del web a rivedere il proprio modello di business condividendo con i propri rider un po’ più dei loro profitti.

Approccio settoriale e di sistema

Anche in Italia si sono fatti passi avanti verso la tutela dei rider attraverso la contrattazione collettiva nazionale[4] oppure, prima ancora, con il ricorso a contrattazioni specifiche tra aziende e rappresentanze sindacali[5]. Tali approcci, però, sebbene abbiano ottenuto risultati notevoli, si sostanziano in interventi particolari che non investono il fenomeno della gig economy nel suo complesso. Né un freno alle condizioni dei ciclofattorini lo ha posto il Jobs Act con l’art. 2, del D.Lgs. 81/2015 [6].

Recentemente va tuttavia registrata una sentenza della Corte di Appello di Torino, n. 26/2019 che, pur non ravvisando l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., sostiene che allorché il lavoratore sia inserito nell’etero-organizzazione predisposta dal committente, egli è ugualmente destinatario delle tutele riservate ai lavoratori subordinati in virtù dell’art. 2, comma 1, D.Lgs n. 81/2015.

Si tratta di una interpretazione che ci avvicina al ABC test, ma è pur sempre una sentenza. La AB-5, invece, ha un ambito di applicazione generale, e può ambire di ridisegnare il rapporto tra capitale e lavoro in una prospettiva più generale. Non si tratta di abbandonare l’obiettivo della flessibilità estrema, ma di evitare che la retribuzione sia commisurata alla “quantità” di prestazione svolta, anziché al valore con essa prodotto.

Uno sguardo al futuro.

La Bay Area può essere considerata la culla del capitalismo dot-com, ma la California è per sua cultura anche fucina di pensiero progressista. Qui sono nate o si sono sviluppate Apple, Google, Facebook, Oracle, Intel, HP, Tesla, PayPal, GAP e tantissime altre multinazionali che influenzano significativamente la nostra vita di tutti i giorni. Ma qui è anche dove torva spazio la critica più fondata ai modelli economici del capitalismo e della società dell’informazione. Parliamo di economia circolare contro economia del consumo, economia collaborativa e prosumers, sharing economy e gig economy.

Quest’ultima si è imposta sull’idea corretta che la flessibilità del lavoro è espressione di libertà. Essa, in ogni grado sia applicata, favorirebbe sempre l’occupazione e libererebbe le forze del mercato generando nuova ricchezza. Ciò è vero, ma alla luce dei fatti di questa ricchezza hanno goduto assai più le imprese, finendo per negare diritti e dignità ai loro lavoratori. Le cause di questo non sono tanto da cercarsi nel modello della gig economy in sé, perfettamente razionale e giustificabile, ma nella iniqua – ancorché legittima – allocazione dei profitti generati dalla prestazione tipica dell’azienda.

Valga per tutti un esempio paradigmatico: la nota piattaforma di instant messaging WhatsApp impiega solo 55 dipendenti, ma ha un market value di 19 miliardi di dollari. In un universo alternativo in cui i dipendenti godessero di una pari quota del valore dell’azienda, ciascuno di essi avrebbe un patrimonio personale di 350 milioni di dollari. Senza contare ovviamente i profitti annuali.

L’enorme valore aggiunto che possono generare alcuni servizi della società dell’informazione in combinazione con il modello capitalista (e liberista) porta ad una accelerazione della disparità distributiva accentuando il fenomeno della diseguaglianza economica. L’informatica, la robotizzazione e l’IA non possono coesistere con il modello capitalista, pena lo sfaldamento della coesione sociale e l’esplosione delle tensioni di classe.

Greta Thumberg e altri

Si sta risvegliando una coscienza globale di critica al nostro modello di sviluppo occidentale: l’iniqua distribuzione della ricchezza che alimenta le tensioni sociali, la finanza globale che disprezza i diritti dei lavoratori e gli interessi delle comunità sulle quali si avventa, il crescente fenomeno delle rendite di posizione che fanno ristagnare enormi risorse cognitive e patrimoniali, la conseguente riduzione del welfare per contenere i costi della crisi del capitalismo, lo strapotere delle multinazionali esercitato nel miope perseguimento degli interessi particolari dei loro manager (in primis) e azionisti. Da ultimo, le esternalizzazioni industriali che fanno ricadere sull’ambiente enormi costi che pagheranno le generazioni a venire (neanche troppo lontane).

Tutto questo sta creando preoccupanti effetti politici, non solo economici: il risveglio dei nazionalismi più beceri e irrazionali, la marginalizzazione delle minoranze etniche e religiose, la falsa prospettazione di soluzioni semplici a problemi complessi con conseguente loro aggravamento.

In questo desolante quadro, il modello di gig-economy entra in crisi se non accompagnato da politiche ridistributive efficaci.

[1] Recentemente in questa rivista abbiamo commentato anche la nuova legge californiana sulla privacy che imprime una dimensione commerciale al trattamento dei dati personali.
[2]Dynamex Operations West, Inc. v. Superior Court of Los Angeles (2018).
[3] Dynamex Operations West, Inc. (Dynamex), è una compagnia di spedizione e consegna di pacchi e documenti che ha impiegato degli autisti come independent contractors, aggirando così la più onerosa normativa sul lavoro dipendente.
[4] È stato siglato il 13 luglio scorso il nuovo CCNL Logitica con una disciplina specifica per i rider.
[5] A Firenze la società di food delivery Lacosenga ha firmato lì8 maggio scorso un accordo con i sindacati dei trasporti di Cgil, Cisl, Filt, Fit e Uiltrasporti grazie al quale i suoi rider avranno la stessa paga dei dipendenti della logistica e una copertura assicurativa Inail a cui vanno aggiunti il TFR, la quota oraria relativa alle ferie e la tredicesima. I fattorini sono contrattualizzati quindi come dipendenti e pagati in base alle ore lavorative e non alle consegne. Un meritevole successo, dopo poco seguito dalla concorrente Runner Pizza.
[6] Il D.Lgs. 81/2015 (uno dei provvedimenti delegati del Jobs Act) nonostante l’ambizione riformatrice, non ha inciso sulla disciplina dei raider poiché, anziché alla prestazione tipica, guarda al potere di controllo e direzione dell’azienda, senza peraltro trascurare che, anche in questo caso, si tratta di norma di dubbia interpretazione. Essa così recita: «A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali» (art. 2, comma 1).

 

Francesco Rampone – f.rampone@lascalaw.com

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