Da quando Facebook ha annunciato massicci investimenti nel metaverso e, lo scorso 28 ottobre, ha addirittura cambiato nome in Meta Platforms, l’attenzione sui mondi virtuali è aumentata in modo vertiginoso. Le criptovalute delle tre principali piattaforme (Decentraland, The Sandbox, Axie Infinity) vengono scambiate per transazioni di oltre un miliardo di dollari al giorno e la loro capitalizzazione totale supera gli undici miliardi, in continua ascesa.
Ma cosa vuol dire acquistare un “appezzamento” sul metaverso (un land)? Che differenze ci sono tra il tradizionale acquisto di una proprietà immobiliare e il suo surrogato digitale? E ancora, in che senso posso edificare sul mio terreno virtuale? Con quali diritti sulla costruzione e quali obblighi dell’impresa a cui ho commissionato la realizzazione? In che modo, poi, ho diritto di disporre della mia proprietà per venderla, darla in locazione, o semplicemente per realizzare eventi on line? E infine, in che modo il mio diritto di proprietà esclude gli altri, sia in termini di accesso e uso esclusivo, che di riservatezza del mio ambiente privato?
Quale che sarà il futuro del metaverso, stiamo senz’altro assistendo all’evoluzione di un fenomeno che cambierà radicalmente il modo in cui interpretiamo la realtà, e dobbiamo quindi prepararci a rielaborare concetti sedimentati nel nostro ordinamento – e nel nostro linguaggio perfino – per accordarli alle nuove forme di interazione virtuale. Termini come proprietà, possesso, consegna, sede, uso, affitto e cessione (solo per citarne alcuni), che hanno un preciso significato per le nostre leggi e che evocano immediatamente istituti e tradizioni giuridiche ben definiti, sono improvvisamente obsoleti e spesso sono utilizzati in modo improprio, in una presunta analogia diretta con le situazioni del mondo reale, impendendo il corretto inquadramento tecnico-legale delle relazioni tra utenti e operatori in rete.
La superfice virtuale
Va innanzi tutto chiarito che quando si acquista un land su un metaverso non si sta ovviamente acquistando un bene immobile, ma sostanzialmente un NFT (Non Fungible Token) che rappresenta uno spazio digitale le cui dimensioni sono espresse in metri o piedi lineari all’interno di un determinato ecosistema virtuale limitato che risiede su un network di server più o meno decentralizzato o distribuito. L’architettura del network incide sulla garanzia che il land acquistato sia effettivamente nella disponibilità diretta del proprietario e non dipenda, invece, dall’obbligo di qualcuno di mantenere in operatività l’hardware e il software che gestisce il metaverso.
È la stessa distinzione che esiste per il giurista tra diritti reali e personali: una distinzione fondamentale che comporta a cascata l’applicazione di una serie di regole che informano tutto il nostro diritto civile.
Chi acquista un land, quindi, acquista un NFT che può assumere diverse connotazioni e che, in termini giuridici, a seconda delle circostanze, rappresenta un titolo di credito o di legittimazione, un documento digitale, cioè, che incorpora un diritto esclusivo di proprietà su un asset digitale o che consente di identificare il soggetto avente diritto ad una determinata prestazione da parte del proprietario del metaverso.
Secondo tale impostazione, la possibilità di negoziare un NFT di tipo land sulle apposite piattaforme di trading (es.: Binance) o la possibilità di eseguire operazioni che comunemente sono riservate ai proprietari di immobili (rendita da locazione, per esempio), dipende dall’implementazione o meno di smart contract in tali NFT che abilitano la costituzione e regolazione di diritti limitati a favore di terzi e che hanno ad oggetto l’NFT stesso, ovvero il land e, a seconda di casi, anche l’ambiente virtuale edificato sopra di esso.
L’immobile virtuale
L’edificio “costruito” su un land (più precisamente: associato in modo univoco ad un NFT di tipo land), proprio come quest’ultimo, non è affatto un bene immobile e ad esso, quindi, non possono essere applicate le disposizioni civilistiche relative alla proprietà immobiliare. Si tratta, infatti, di un’opera 3D realizzata, tipicamente su commissione, con l’impiego di appositi software di modellizzazione.
Nella sua creazione, a prescindere dal successivo impiego in un metaverso, entrano in gioco diritti del tutto particolari, diversi rispetto a quelli relativi all’NFT visti sopra, e che riguardano due aspetti dell’opera: il software con cui è scritto il relativo file, e il modello 3D contenuto nel file. Da qui, tutte le conseguenze attinenti ai contratti di appalto d’opera, al diritto d’autore e al diritto industriale, con particolare riguardo alle opere dell’architettura e del design.
Le sorti dell’edificio virtuale, pertanto, da un punto di vista normativo, sono quelle relative alla costituzione, trasferimento ed estinzione dei diritti regolati dagli istituti giuridici appena richiamati.
Francesco Rampone – f.rampone@lascalaw.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Metaverso: chi vende cosa? [1] L’articolo è la forma estesa di alcune riflessioni giuridiche esposte in un articolo pubblicato su Il Sole24Ore del 28 marzo 2022.