Il caso esaminato, approdato dinanzi alla Corte Europea, vede il colosso americano Amazon, piattaforma di e-commerce più popolare del pianeta, quale presunto responsabile diretto della violazione dei diritti di privativa industriale delle scarpe dello stilista francese Louboutin.
Il caso vede il titolare del marchio costituito dalla famosa suola rossa applicata alle calzature con tacco promuovere due distinte cause, una presso il Tribunale di Lussemburgo e la seconda presso il Tribunale di Bruxelles. Entrambe hanno ad oggetto l’accertamento della violazione del marchio. Infatti, Louboutin aveva notato che sul marketplace di Amazon venivano sponsorizzati annunci di vendita relativi a scarpe col tacco e con la suola rossa senza il suo espresso consenso. Nel marzo 2021, le Corti nazionali adite hanno rimesso la questione, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale si è pronunciata sulla responsabilità diretta dei gestori di piattaforme online per la violazione di diritti connessi all’uso del marchio. Più semplicemente, è stato chiesto alla Corte di stabilire se Amazon fosse responsabile ex art. 9.2 del Regolamento (UE) 2017/1001 di aver sponsorizzato annunci pubblicitari di rivenditori terzi che usavano il marchio Louboutin senza autorizzazione del titolare e per aver conservato nei magazzini e poi spedito agli acquirenti tali beni contraffatti.
Al fine di inquadrare l’oggetto della causa, sono necessarie le dovute premesse sia in merito alla responsabilità del provider quale è Amazon (che nella vendita dei prodotti utilizza una strategia commerciale per la promozione e distribuzione di beni dei terzi ospitati dalla piattaforma), sia in merito alla tutela del c.d. marchio di posizione.
Con riferimento alla prima, il provider è quell’intermediario che unisce e mette in comunicazione chi intende trasmettere un’informazione e i destinatari della stessa. Infatti, qualsiasi attività in rete passa sempre attraverso un’intermediazione di un provider mentre i dati transitano sui suoi server.
Il decreto n. 70/2003 distingue tre principali tipi di provider: il cashing provider, l’hosting provider ed il provider c.d. di mero trasporto. Con quest’ultimo si fa riferimento al classico provider che trasmette su una rete di comunicazione informazioni fornite da un destinatario del servizio o, in un secondo caso, fornisce un mero punto di accesso alla rete di comunicazione. Questo è il caso del provider di e-mail.
Il secondo, il cashing provider, è quel provider (il classico motore di ricerca) che effettua una memorizzazione automatica e temporanea al solo scopo di rendere più efficiente il successivo inoltro di informazioni ad altri destinatari.
Infine, l’hosting provider, in particolare quello “attivo” è quel provider che, in aggiunta alle funzioni compiute dall’hosting provider, ospita e memorizza i dati immessi in rete, li completa e li arricchisce, in modo non passivo, compiendo sui risultati emessi delle operazioni di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione adottando una tecnica di valutazione del comportamento degli utenti per aumentarne la fidelizzazione.
Nel caso di Amazon, la categoria di provider a cui più si può ricondurre, come già affermato da giurisprudenza precedente, è quella dell’hosting provider cd. “attivo”.
Si segnalano dei precedenti in giurisprudenza che hanno riconosciuto all’hosting provider un ruolo cd. “attivo” e, pertanto, riconosciuto la responsabilità dell’illecito di violazione del diritto di privativa industriale, proprio per il ruolo svolto e per la condotta tenuta.
Responsabilità che, come previsto dall’art. 17 della Direttiva Copyright, viene riconosciuta in capo al prestatore di servizi quando senza autorizzazione comunica al pubblico, o mette a disposizione del pubblico, opere e altri materiali protetti dal diritto d’autore. salvo il caso in cui non dimostrino di: a) aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un’autorizzazione, e b) aver compiuto, secondo elevati standard di diligenza professionale di settore, i massimi sforzi per assicurare che non siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti e necessarie dai titolari dei diritti; e in ogni caso, c) aver agito tempestivamente, dopo aver ricevuto una segnalazione sufficientemente motivata dai titolari dei diritti, per disabilitare l’accesso o rimuovere dai loro siti web le opere o altri materiali oggetto di segnalazione.
Individuati i presupposti per riconoscere la responsabilità in capo ai provider, non vi è alcun dubbio che le famose scarpe disegnate e prodotte da Louboutin abbiano carattere distintivo. Tale prodotto, infatti, è dai più conosciuto per la sua caratteristica suola rossa tutelata quale marchio cd. di posizione che, proprio perché apposta in tale posizione specifica e, inoltre, di un determinato colore pantone, si contraddistingue dagli altri.
La registrazione del marchio UE, così come previsto dal Regolamento (UE) 2017/1001, infatti, conferisce al suo titolare il diritto di vietare a terzi l’uso di un segno identico per beni o servizi uguali a quelli per i quali è registrato.
Venendo ai fatti oggetto di causa, le accuse legate alla violazione del marchio prendono le mosse dalla condotta posta in essere dal provider in questione, Amazon. Tale colosso, che in qualità di gestore del sito web per la vendita online di una grande varietà di prodotti offre prodotti al mercato, sia a proprio nome e per proprio conto sia per conto di terzi venditori, è accusato di aver svolto un ruolo attivo nella contraffazione, permettendo la visualizzazione e l’associazione tra Amazon stesso e il prodotto contraffatto.
Così, la Corte Europea ha stabilito che sussiste collegamento tra il marchio contraffatto e il comportamento del provider quando il gestore del mercato online effettua, con l’ausilio di un servizio di posizionamento su Internet e a partire da una parola chiave, pubblicità di prodotti di tale marchio offerti per vendita da parte dei suoi clienti che commercializzano prodotti contraffatti sul suo mercato online.
Infatti, tale pubblicità crea, per gli utenti di Internet che effettuano una ricerca basata su una parola chiave, (ad esempio “scarpe col tacco”) un’evidente associazione tra tali prodotti e la possibilità di acquistarli tramite tale mercato online.
La Corte ne fa derivare che, per determinare se un gestore come Amazon sia ritenuto responsabile, occorre valutare se un utente ragionevolmente informato e “ragionevolmente” attento abbia l’impressione che sia tale gestore a commercializzare in nome e conto proprio i prodotti messi in vendita da terzi o, allo stesso modo, stabilisca un collegamento tra i servizi di tale operatore (Amazon) ed il segno in questione (Louboutin).