È annullabile il contratto concluso dall’amministratore di una società di capitali con sé stesso, in conflitto di interessi, qualora il contratto non abbia alcuna utilità per la società.
Il principio è stato espresso anche dal Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 1256, del 26 aprile 2023, pronunciata a definizione di un giudizio avviato da una società nei confronti del suo ex amministratore unico, accusato di aver compiuto innumerevoli atti di mala gestio, durante il periodo di vigenza del suo mandato.
Tra le varie contestazioni che venivano mosse all’amministratore convenuto, la più rilevante è quella inerente un prestito che il convenuto si era fatto erogare dalla società, attuando, pertanto, un comportamento che costituisce un lampante esempio di contratto concluso da un amministratore in conflitto di interessi, con sé stesso, e, come tale, annullabile.
In particolare, un amministratore viene a trovarsi in “conflitto di interessi” quando è portatore di un interesse estraneo alla società, tale per cui detto amministratore possa trarre una specifica utilità dall’operazione che intende effettuare per conto della società.
Al verificarsi di tale circostanza, l’art. 2391 c.c. prevede uno specifico obbligo in capo all’amministratore di informare il consiglio di amministrazione della società – o l’assemblea dei soci, laddove, come nel caso in esame, sia stato nominato solo un amministratore unico – dell’esistenza di un qualche interesse personale in una determinata operazione, a prescindere dal fatto che detto interesse sia (o non sia) in contrasto con quello della società. In difetto, le operazioni deliberate dall’amministratore saranno impugnabili.
Nel caso in commento, sulla base delle prove documentali fornite dalla società attrice, il Tribunale annullava il contratto che l’ex amministratore aveva “stipulato con sé stesso”, poiché “in conflitto di interessi e senza alcuna utilità” per la società. Inoltre, in ragione di ciò, il Tribunale precisava che “all’annullamento segue, ordinariamente, un obbligo restitutorio” in capo all’amministratore, che veniva, dunque, condannato alla restituzione della somma “mutuata”.