09.11.2023 Icon

L’opzione put nel patto parasociale configura un patto leonino?

Il patto parasociale contenente l’esercizio di opzioni put è nullo per violazione del divieto di patto leonino solo nell’ipotesi in cui esso preveda un’esclusione assoluta e costante della partecipazione agli utili ed alle perdite e non tuteli un interesse meritevole secondo l’ordinamento giuridico.

Il principio è stato ribadito qualche mese fa dalla sentenza n. 29714/2023 emessa dal Tribunale di Catanzaro, per mezzo della quale sono state accolte le domande formulate da una società che, a seguito dell’esercizio di un’opzione put su quote societarie precedentemente acquistate, aveva convenuto in giudizio quei soci che – in forza di tale opzione – avrebbero dovuto riacquistare tali partecipazioni.

Nell’ambito di una complessa vicenda di societaria, infatti, l’attrice (nella qualità di gestore di un fondo rotativo per prestiti partecipativi a favore di p.m.i.) aveva finanziato l’aumento di capitale di una s.r.l., sottoscrivendo parte dello stesso. Inoltre, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di compravendita, stante il “carattere temporaneo della partecipazione dell’attrice”, le parti avevano concluso un patto parasociale con il quale le medesime si impegnavano rispettivamente alla cessione ed al riacquisto delle quote (opzioni put and call) corrispondenti all’aumento di capitale sociale finanziato dall’attrice medesima.

Anni dopo, l’attrice comunicava agli altri soci paciscenti di volersi avvalere dell’opzione put, ma l’iniziativa rimaneva senza alcun esito visto che le parti non concordavano sulla retrocessione delle quote detenute.

Il Tribunale di Catanzaro, su eccezione della parte convenuta, si trovava dunque a dover stabilire la liceità dell’inserimento all’interno dei suddetti patti parasociali dell’opzione put and call pattuita dalle parti, dovendo, in particolar modo, valutare se ciò potesse integrare una violazione del divieto di patto leonino previsto dall’art. 2265 c.c., ai sensi del quale “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”.

Preliminarmente, il Tribunale ha ricordato che la natura dei patti parasociali deve essere tenuta distinta da quella dello statuto e dall’atto costitutivo. I patti parasociali, infatti, riguardano “i rapporti personali tra soci” ed operano, dunque, sul “piano para-sociale”, che è ben diverso da quello “sociale” che concerne l’organizzazione societaria nel suo complesso. A riprova di ciò, il Tribunale osserva, infatti, che i patti parasociali hanno esclusivamente efficacia obbligatoria tra coloro che li sottoscrivono.

Quindi, constatando che i patti parasociali possono essere utilizzati anche “come strumento elusivo della ratio della disciplina del patto leonino, quando sia[no] finalizzat[i] alla realizzazione dell’effetto vietato dalla legge, prevedendo un’esclusione assoluta e costante della partecipazione agli utili ed alle perdite e non tutela[no] un interesse meritevole ai sensi dell’art. 1322 c.c.” in quanto finirebbero per apportare una modifica alla causa del contratto di società, nel caso di patti parasociali contenenti l’esercizio di opzioni put and call, una siffatta previsione deve ritenersi perfettamente valida, poiché “nell’opzione put a prezzo preconcordato si assiste all’assoluta indifferenza della società alle vicende giuridiche che si attuano in conseguenza dell’esercizio di essa, le quali restano neutrali ai fini della realizzazione della causa societaria, già per la presenza di elementi negoziali idonei a condizionare il potere di ritrasferimento a circostanze varie, capaci di orientare la scelta dell’oblato nel senso della vendita, ma anche della permanenza in società; onde non ne viene integrata l’esclusione da ogni partecipazione assoluta e costante dalle perdite”.

Più precisamente, in un analogo caso di finanziamento partecipativo, era stato rilevato che in tema di patti parasociali, deve ritenersi valida la previsione all’interno di essi di opzioni put and call, identificandosi la causa concreta del negozio in una forma di garanzia per il socio finanziatore, come tale rientrante nell’autonomia contrattuale concessa ai soci e pertanto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento.

Ciò chiarito, il Tribunale accertava che “non ricorre[va] la situazione dell’esclusione assoluta e costante dalle perdite o dagli utili, necessaria per l’alterazione in concreto della causa societatis” e dunque non si rilevava una violazione del divieto di patto leonino, dato che l’attrice, titolare del diritto di esercitare l’opzione put, aveva comunque assunto tutti i diritti e gli obblighi del suo status di socio della società.

Autore Matteo Rebecchi

Associate

Bologna

m.rebecchi@lascalaw.com

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