È lecita la clausola statutaria di una società per azioni, che non ricorra al mercato del capitale di rischio, che preveda la facoltà dei soci di recedere dalla società ad nutum con un termine congruo di preavviso.
Questo principio è stato sancito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza del 29 gennaio 2024, n. 2629, che si è espressa sulla liceità di una clausola statutaria di una S.p.a. che prevedeva la facoltà per i soci di recedere liberamente – oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge – “con un preavviso di almeno centottanta giorni”, restando inteso che “in tal caso, il recesso produrrà effetti dallo scadere dei centottanta giorni”.
Il provvedimento in esame ha cassato la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Cagliari, oggetto di impugnazione, e ha ritenuto lecita la clausola statutaria in esame, smentendo il carattere eccezionale del recesso ad nutum ed ammettendolo quale ulteriore causa di recesso, ai sensi del 4° comma dell’art. 2437 c.c., in materia di società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Argomentando la propria decisione, infatti, la Cassazione ha rilevato che la riforma del diritto societario del 2003, in materia di recesso, ha inteso superare la previgente idea che vedeva il recesso meramente quale strumento di reazione del socio “avverso alcune deliberazioni decise dalla maggioranza”, sostituendola con la volontà di “assecondare la scelta dell’investitore, che decida di vendere i propri titoli per ragioni anche diverse ed indipendenti dalle altrui decisioni non condivise”.
In questa logica, l’attuale 4° comma dell’art. 2437 c.c. che consente alle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio di introdurre ulteriori clausole di recesso, mira a tutelare la libertà del socio, ampliandone il potere di recesso. A tale riguardo, la Cassazione ha, infatti, ribadito che tale libertà statutaria di contemplare altre vicende, “ivi compreso il caso che i soci, nell’esercizio della loro autonomia negoziale privata, abbiano ritenuto conforme al proprio programma imprenditoriale consentire a ciascuno di uscire dalla compagine societaria” “semplicemente per volere del socio” (come verificatosi nel caso in commento), sia il risultato di un bilanciamento operato dal legislatore tra i diversi interessi che si fronteggiano in materia: da un lato, quello della società a mantenere il conferimento conseguito e, dall’altro, quello del socio di uscire dalla compagine societaria una volta maturata tale intenzione, senza preclusioni di sorta.
La Cassazione ha, dunque, ritenuto legittima la facoltà di un socio di S.p.a. di recedere ad nutum non solo qualora la società sia stata costituita a tempo indeterminato (ipotesi contemplata dal 3° comma dell’art. 2437 c.c.), ma anche nel caso in cui i soci abbiano previsto espressamente tale facoltà nello statuto sociale, prevedendo un congruo termine di preavviso, rientrando tale fattispecie nelle “ulteriori cause di recesso” di cui al 4° comma dell’art. 2437 c.c.
Conseguentemente, alla luce della funzione del recesso ad nutum di assicurare ai soci la facoltà di uscita dalla società ove la persistenza nella stessa non sia più rispondente ai propri interessi, nel caso in commento, la Cassazione ha ritenuto che lo statuto, in considerazione dello specifico oggetto e composizione della compagine sociale, avesse previsto legittimamente, nell’esercizio dell’autonomia negoziale,l’attribuzione del “diritto di recesso ove la partecipazione nella comune intrapresa ed il perseguimento di quei vantaggi si rivelasse non più conveniente per gli interessi del socio stesso”.