In materia di compromettibilità in arbitrato di questioni societarie, l’unico limite posto all’autonomia negoziale è costituito dall’assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili, potendosi considerare compromettibili anche tutte le impugnazioni per nullità delle delibere assembleari soggette a termini di decadenza.
Questo principio è stato confermato in una sentenza del 7 marzo 2024 del Tribunale di Milano, in merito ad una controversia in cui i soci di minoranza di una società avevano convenuto in giudizio la stessa al fine di ottenere, previa sospensione, la declaratoria di nullità o la pronuncia di annullamento di due delibere assembleari aventi ad oggetto la revoca dell’amministratore unico e la sua sostituzione con un organo gestorio collegiale.
La società convenuta aveva preliminarmente sollevato un’eccezione di incompetenza del Tribunale di Milano, richiamando la clausola statutaria che riservava la risoluzione delle controversie tra i soci e la società ad un arbitro unico.
Il Tribunale, ritenendo fondata tale eccezione, alla quale avevano peraltro aderito gli stessi attori, richiamava l’art. 34 comma 1 del d.lgs. 5/2003, ai sensi del quale l’indisponibilità del diritto conteso sia l’unico limite alla devoluzione delle controversie societarie ad uno o più arbitri.
Relativamente alla delimitazione della categoria delle controversie compromettibili, il Tribunale, richiamando alcuni precedenti della giurisprudenza di legittimità, ribadiva che “l’area della non compromettibilità è ristretta all’assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili”. Conseguentemente, si possono considerare compromettibili in arbitrati anche “tutte le impugnazioni per nullità delle delibere assembleari soggette a termini di decadenza”, essendo configurabile l’indisponibilità del diritto solo laddove l’impugnazione riguardi censure relative alla violazione di norme che vanno oltre l’interesse del socio e che coinvolgono interessi dell’intera collettività.
Nel caso in esame, il Tribunale rilevava che nessuna delle censure mosse dagli attori alle delibere impugnate attenesse alla violazione di “norme imperative poste a tutela dell’interesse generale dei terzi e del mercato”, trattandosi di violazioni di valenza meramente endosocietaria, ovvero, in altri termini, di vizi che configuravano “unicamente la violazione di diritti disponibili relativi al rapporto sociale”.
In conclusione, il Tribunale di Milano dichiarava la propria incompetenza in favore dell’arbitro unico, statuendo che, nell’ambito della menzionata clausola compromissoria rientrasse la controversia in esame avente ad oggetto la validità delle delibere assembleari impugnate sulla base di violazioni di “posizioni giuridiche che affer(ivano) alla sfera individuale dei singoli soci, anche nella veste di ex amministratori” e che, pertanto, non investivano diritti indisponibili.