L’aumento di capitale eseguito mediante compensazione di crediti vantati da alcuni soci verso la società non integra, di per sé, un’ipotesi di conflitto di interessi né configura un caso di abuso della maggioranza, essendo pur sempre perseguito un interesse della società.
Il principio è stato espresso dal Tribunale di Venezia con un’ordinanza emessa il 29 giugno 2024, all’esito di un procedimento di impugnazione di una delibera di aumento di capitale sociale promosso da alcuni soci di una S.r.l..
Nel caso di specie, durante l’assemblea convocata per deliberare sull’aumento di capitale, gli attori, soci di minoranza, decidevano di non avvalersi del diritto di opzione e di non sottoscrivere l’aumento di capitale indotto dal socio di maggioranza e conseguentemente, vedevano drasticamente ridursi la loro quota di partecipazione al capitale sociale.
Gli attori, tuttavia, decidevano di impugnare la delibera adducendo un abuso di maggioranza e ritenendola adottata in conflitto di interessi, poiché con il voto determinante del socio di maggioranza, il quale, a loro dire, non aveva alcun interesse al verificarsi di un effettivo aumento di capitale della società. Gli attori, inoltre, contestavano le modalità utilizzate per attuare detto aumento che era stato attuato senza immettere “alcuna nuova finanza nelle casse” sociali, tramite compensazione con alcuni debiti della società verso i soci sottoscrittori.
Il Tribunale rigettava le richieste attoree ritenendo insussistenti sia la fattispecie del conflitto di interessi sia quella dell’abuso di diritto.
Quanto al conflitto di interessi, il Tribunale precisava che questo “implica una vera e propria incompatibilità fra l’interesse concreto della società e quello del socio”; pertanto, il fatto che la maggioranza abbia “dato corso all’aumento di capitale con «minimo sforzo economico»” (nel caso concreto, rappresentato dalla compensazione con crediti vantati dai soci sottoscrittori nei confronti della società) e, dunque, senza iniezione effettiva di capitale “non può considerarsi in nessun caso un danno per la società; e dunque non si vede conflitto”.
In concreto, seppur in assenza di una diretta iniezione di liquidità, la società otteneva, comunque, un vantaggio costituito dall’aumento del suo patrimonio netto con contestuale riduzione della sua esposizione debitoria non ravvisandosi, dunque, alcun danno per la medesima.
Appurata l’insussistenza di un conflitto di interessi in capo ai soci-creditori che avevano sottoscritto l’aumento di capitale, il Tribunale rilevava, altresì, l’insussistenza di qualsivoglia abuso della maggioranza in danno dei soci di minoranza e, a tale riguardo, precisava che “il socio è pienamente libero di votare le delibere secondo la valutazione del suo proprio interesse, con il solo limite di non esercitare il voto secondo mala fede” e, dunque, “con il solo scopo di danneggiare gli altri soci, senza che vi sia alcun legittimo interesse proprio”.