20.04.2020 Icon

Marchio «coronavirus», tra diritto e morale

In questo momento di emergenza sanitaria, in cui molte persone muoiono o perdono i loro cari, in cui è umano e doveroso stringersi per farsi reciprocamente coraggio e dare sostegno a chi lotta in prima linea, viene da chiedersi se le condotte predatorie e competitive, motori dello sviluppo e mantenimento del nostro modello capitalistico (in un quadro di legalità ovviamente), siano ancora, sempre e comunque, tollerabili.

In particolare, è giusto accaparrarsi il libero marchio “coronavirus”? oppure tale nome e quello di altri simboli di questo tragico periodo non dovrebbero essere oggetto di privativa in attività commerciali?

Dico subito che non c’è una risposta definitiva e che invito il lettore farsi una propria idea. Propongo solo alcune riflessioni e un recente caso emblematico in Cina.

Etica e diritto.

Stando la nostra tradizione occidentale, il diritto è ben distinto dall’etica. Al massimo possiamo parlare di buon costume, concetto vago, ma senz’altro rivolto alla tutela del pudore altrui e al rispetto di un codice di onestà sociale ed educazione (buon vivere comune) che non deve tuttavia declinarsi come precetto morale.

In paesi di altre tradizioni giuridiche, invece, ciò è meno vero ed è più facile che certe condotte, pur in astratto ammesse in termini strettamente giuridici, non lo siano secondo l’etica sovrastante.

I casi in Cina.

A tale riguardo, segnalo il recente caso dell’Ufficio Marchi cinese che ha rifiutato la registrazione del marchio “coronavirus” invocando l’art. 10.1.8 della Legge Marchi cinese (2019) che consente di rigettare il deposito di un segno che sia «dannoso per l’etica o i costumi socialisti o che abbia altre influenze non salutari» (vedi Tian Lu, su The IPKat).

Anche altri nomi noti sono stati presi di mira, come ad esempio quello di campi-ospedale allestiti per gestire l’emergenza e garantire le cure necessarie a migliaia di cittadini cinesi infettati. Nomi devenuti simboli della lotta contro la pandemia. Qualcun ha addirittura tentato di registrare il nome del giovane medico, Li Wenliang, che per primo denunciò la pericolosità del nuovo virus, e che ha dato la vita per restare vicino ai propri pazienti pur bersagliato delle reprimende dei suoi superiori per quello che allora era considerato un ingiustificato allarme.

Ebbene, in tutti questi casi, l’Ufficio Marchi cinese ha rigettato le domande di registrazione ritenendo che la privativa su tali segni avrebbe potuto avere «influenze significative e non salutari».

Colui che aveva tentato di registrare il nome di Wenliang (peraltro il giorno stesso della sua morte!) non solo ha rinunciato alla sua domanda, ma si è pubblicamente scusato con la memoria del medico, la sua famiglia, e il popolo cinese tutto.

E in Europa?

Una nota del NIPA (National Intellectual Property Administration cinese) fa comprendere meglio quale sia la distanza tra il nostro sistema “laico” e quello più ad indirizzo “morale” della Cina:

«La tragedia nazionale deve essere ricordata, e non per fini consumistici. Alcune agenzie di marchi hanno chiesto la registrazione di marchi legati all’epidemia. Ciò facendo sono andate contro la coscienza dell’umanità, e ciò ha provocato una forte condanna pubblica».

Viene da chiedersi se dalla nostra parte del mondo potremmo invocare l’etica e la “coscienza dell’umanità” o la “condanna pubblica” (che suona tanto come tribunale del popolo) per rigettare domande di marchio inopportune. Da noi si fa cenno piuttosto all’ordine pubblico o al buon costume di cui all’art. 7 del Regolamento (UE) 2017/1001 (ovvero all’art. 14.1.a) del nostro Codice della Proprietà Industriale)

Lo sapremo presto: il 12 marzo scorso, tre cittadini spagnoli (Alejandro De la Hoz de Miguel, Jesús Santamera Hermoso, Daniel Gutiérrez Bernardo), hanno depositato domanda per marchio europeo “coronavirus”. Vedremo se l’EUIPO l’accoglierà o meno, e con quali motivazioni.

Intanto, seguo l’esempio di Tian Lu, e concludo con le parole del NIPA: «La luce del sole è il miglior antivirus e la trasparenza è l’arma più semplice ed efficace per gestire le domande di registrazione fuori dall’ordinario».

Francesco Rampone – f.rampone@lascalaw.com

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