08.07.2015 Icon

Diritto al risarcimento del danno nella prestazione dei servizi di investimento: è una questione di prova

 Tribunale di Udine, 18 febbraio 2015, n. 268 (leggi la sentenza)

Con una recente pronuncia, il Tribunale di Udine (sentenza n. 268 del 18.2.2015) ha avuto modo di esaminare il tema della prova del nesso causale esistente tra il danno patrimoniale subito da parte degli investitori e l’inadempimento informativo dell’intermediario finanziario (dato per esistente nel caso di specie).

Analizzando l’operatività in strumenti finanziari posta in essere da parte degli investitori, nonché le informazioni rilasciate da quest’ultimi ai sensi dell’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522/1998 (di epoca successiva alla negoziazione degli strumenti finanziari oggetto di causa), infatti, il Tribunale adito ha escluso la sussistenza di un nesso causale esistente tra il danno lamentato ed l’inadempimento imputato all’intermediario finanziario.

Rispetto a quanto sopra indicato vi sono le valutazioni e prove acquisite, nel corso del giudizio, dalle quali è emerso che

  1. E’ stato parimenti allegato, e non contestato, che gli attori, prima e contestualmente alle operazioni in questione, avevano acquistato, ed in qualche caso anche rivenduto, strumenti finanziari senza dubbio complessi […]. Ne consegue che, non solo gli attori non hanno fornito concreti elementi per far ritenere che, qualora debitamente informati dall’operatore della Banca […], si sarebbero astenuti dall’acquistare i bond argentini, il che potrebbe anche bastare, ma anzi sono stati allegati e non contestati elementi dai quali è ragionevole desumere che gli attori avessero effettuato in precedenza e contestualmente scelte operative consapevoli”;
  2. “[…] in data 7.4.2003, gli odierni attori hanno dichiarato, alla odierna convenuta e nell’ambito del medesimo rapporto, di avere alta esperienza in materia di investimenti finanziari, con obiettivi di crescita elevata del capitale e molto alta propensione al rischio […]. Se tali dichiarazioni sono state rese a pochi mesi di distanza dal default dell’Argentina, è ragionevole desumere che la propensione al rischio finanziario elevato fosse effettivamente preesistente, perché, in caso contrario, non vi sarebbe stato motivo per gli odierni attori per non fare tesoro dell’esperienza negativa subita”.

In conclusione, quindi, “deve ritenersi improbabile che l’acquisto dei bond argentini sia stato dovuto ad una carenza informativa piuttosto che ad una deliberata e consapevole , ovviamente legittima, scelta rischiosa”.

8 luglio 2015Paolo Francesco Bruno – p.bruno@lascalaw.com