08.04.2022 Icon

Le banche sono pronte alla gestione massiva delle inadempienze probabili?

Nel corso del biennio 2022/2023, secondo i risultati di un recente studio elaborato da Market Watch Npl e condiviso da ABI, si registrerà un notevole incremento, per un valore di circa 60 miliardi di euro, del flusso dei crediti deteriorati.

Più precisamente, a fine 2022 il loro ammontare, nei bilanci degli istituti di credito, sarà pari al 7,8% rispetto al 4,4% segnato nel 2020.

Il plateau verrà, comunque, raggiunto non prima del 2024 quando lo stock complessivo di Npe toccherà quota 402 miliardi di euro, per poi calare e tornare ai livelli ante pandemia.

Al contempo, viene segnalato che la crescita del volume dei crediti deteriorati causerà un incremento del numero di default, destinato, comunque, ad attestarsi su livelli inferiori rispetto a quelli segnati nel 2011.

La principale ragione di tale contenimento è riconducibile al fatto che, diversamente dal passato, non aumenteranno le sofferenze, bensì le inadempienze probabili (IP), che già nel 2021 per la prima volta avevano superato le prime.

Tale trend, a causa del progressivo venir meno delle misure pubbliche a sostegno dell’economia, non è sicuramente destinato a mutare.

Anzi, gli effetti della crisi economica, in atto per le note ragioni, sono destinati a protrarsi nel tempo, specie a danno delle imprese, le quali sono impegnate su una pluralità di fronti che vanno dall’aumento dei costi delle materie prime sino a quello dell’accesso al credito.

Una situazione certamente non idilliaca anche per le stesse banche, le quali erogando finanziamenti ad imprese solite a ricorrere al credito in maniera squilibrata, finiscono per esserne i “veri proprietari”, divenendo di fatto portatrici di un interesse indirizzato verso il recupero del valore aziendale, anziché nella sua semplice messa in liquidazione.

In questo scenario si inserisce la nota n. 28/2022 (“note di stabilità finanziaria e vigilanza”) con cui Banca d’Italia ha diffuso i risultati di un’indagine avente ad oggetto la gestione delle inadempienze probabili da parte dei principali istituti di credito italiani e tre meno significativi.

Dal suo esame emerge che le banche hanno, indubbiamente, migliorato le proprie procedure interne preposte alla gestione e al monitoraggio di queste particolari categorie di esposizioni debitorie.

Tuttavia, tali modalità non sono esenti da critiche.

Da un lato, infatti, Banca d’Italia individua le seguenti best practices, già ampiamente diffuse:

  • l’esistenza di una struttura centrale distinta rispetto a quella preposta alle sofferenze e a cui è demandata la gestione delle IP;
  • la presenza di meccanismi di rilevazione automatica non modificabili dal gestore;
  • l’esistenza di applicativi dedicati per il monitoraggio.

D’altro lato, si sofferma su alcune criticità, tra le quali spiccano:

  • l’assenza di forme adeguate di valutazione dell’adeguatezza qualitativa e quantitativa delle risorse deputate alla gestione di tali posizioni;
  • la scarsa proattività nella gestione e nel monitoraggio delle singole posizioni.

In particolare, in virtù del costante aumento delle IP, si nutrono dubbi circa la capacità dei singoli gestori di intercettare tempestivamente i segnali di un ulteriore deterioramento del credito.

A maggior ragione se si considera che un monitoraggio su base semestrale o attivabile solamente in presenza di anomalie già conclamante, come avviene attualmente, ha l’effetto di compromettere, talvolta irrimediabilmente, il turnround.

Non si deve, infatti, trascurare che la gestione proattiva delle IP presuppone la capacità di ravvisare immediatamente l’emersione di situazioni peggiorative del credito idonee a determinare la sua retrocessione, sulla base di specifici parametri ovvero “trigger” già in uso presso gli istituti di credito, a sofferenza.

Ciò premesso, una domanda è d’obbligo: in che modo le banche gestiranno lo “tsunami” che si profila all’orizzonte?

E quale tipologia di IP verrà “delocalizzato”?

È possibile immaginare che, per scongiurare gli effetti nefasti di un intervento non tempestivo, saranno indotte ad affidare la gestione delle IP, anche in ragione degli obblighi discendenti dal Calendar, a soggetti esterni dotati, stante la particolarità dell’esposizione debitoria di cui si tratta, delle necessarie competenze, oltre che di una struttura adeguata.

Così come è facile prevedere che, almeno inizialmente, le banche preferiranno gestire in house esposizioni di un certo rilievo e affidare a terzi quella delle IP granulari. 

In ogni caso, la gestione delle IP sarà foriera di nuove, oltre che di stimolati sfide per le banche, chiamate ancora una volta ad intervenire a sostegno del sistema Paese.

Sarà interessante capire se le medesime, i singoli operatori, i professionisti del settore saranno in grado di reggerne il peso.

Frank Oltolini – f.oltolini@lascalaw.com

© RIPRODUZIONE RISERVATA