Entro giugno 2017 è attesa la guida finale della BCE sulla gestione dei crediti non performing, una delle novità più attese dalle banche europee, ed in particolare italiane, alle prese con un importante fardello di sofferenze che, necessariamente, dovranno essere oggetto di una idonea strategia di gestione (intesa come tempestiva identificazione ed assunzione di determinazioni e applicazione di opportune misure), in linea con le migliori prassi riscontrate dalla BCE nell’ambito dell’ampio lavoro condotto sugli NPL e, conseguentemente, con le aspettative della vigilanza per il futuro.
La gestione del portafoglio dei crediti deteriorati è, infatti, doverosa considerando sia gli espliciti richiami delle Autorità di Vigilanza, sia il quadro congiunturale che vede una progressiva erosione patrimoniale delle banche, un persistente decadimento della qualità del portafoglio crediti e un mercato immobiliare che continua a manifestare un trend di debolezza.
Nell’attesa dell’emanazione del documento della BCE, si segnala un interessante studio condotto dall’Università di Udine che propone di offrire elementi utili all’attuale dibattito circa le tecniche di gestione dei crediti deteriorati, analizzando due strategie alternative e comparabili: cessione del portafoglio a investitori specializzati e la cartolarizzazione “in house”, prevedendo cioè che l’originator sottoscriva la tranche senior delle notes emesse e che gli azionisti stessi della banca siano disposti a sottoscrivere la tranche junior (in proporzione alla loro percentuale di partecipazione al capitale sociale della banca), con l’esclusione, quindi, dell’intervento di investitori esterni nella cessione delle posizioni a sofferenza e della fuoriuscita di tali tipologie di asset dall’attivo della banca originator (cosiddetta derecognition del portafoglio).
I risultati dello studio condotto da Enrica Bolognesi, Cristiana Compagno, Marco Galdiolo, Stefano Miani e pubblicato da Bancaria Editrice evidenziano che, dal punto di vista dell’azionista, la differenza di capitale richiesto nelle due ipotesi dipende dal tasso di interesse richiesto dal mercato e dalla struttura della cartolarizzazione. D’altra parte, e consapevoli delle forti ipotesi che caratterizzano la Cartolarizzazione “in-house”, gli autori mostrano che quest’ultima offre risultati migliori in termini di minori perdite per gli azionisti. I risultati presentati sono influenzati da molti fattori come l’IRR richiesto dagli investitori, il costo e la durata del processo di recupero dei crediti, la differenza tra la stima e il recupero effettivo delle posizioni cedute e la struttura dei titoli emessi dallo SPV. Ciascuno di questi elementi, a sua volta, è influenzato dalle regole che governano il settore così come dalla presenza o meno di un mercato secondario dei NPLs. I provvedimenti recentemente assunti dal Governo italiano vanno nella direzione di un incremento nell’efficienza della gestione dei crediti deteriorati con implicazioni desiderabili per il settore bancario e, più in generale, per il sistema finanziario italiano nel suo complesso.
Sabrina Galmarini – s.galmarini@lascalaw.com
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