Manca poco più di un mese al termine entro il quale gli Stati dell’Unione Europea devono recepire la Direttiva UE 2021/2167 emanata allo scopo di oliare il sistema e far si che l’ondata di NPL prevista già nel biennio in corso possa essere gestita con maggiore fluidità evitando l’accumulo di uno stock di crediti deteriorati.
A tal fine è stato ritenuto necessario che il quadro normativo a livello europeo fosse omogeneo sia per rimuovere barriere e creare un mercato secondario chiaro e accessibile sia per stabile regole e creare procedure standardizzate così che anche la concorrenza tra il player possa essere su un livello univoco.
Sin dalle prime battute, infatti, viene precisato che “La presente direttiva dovrebbe incoraggiare lo sviluppo di mercati secondari dei crediti deteriorati nell’Unione eliminando gli ostacoli, e stabilendo relative garanzie, al trasferimento dei crediti deteriorati da parte di enti creditizi ad acquirenti di crediti, garantendo al tempo stesso la tutela dei diritti dei debitori”.
La normativa è indirizzata pertanto ai gestori del credito (Servicer o Credit Servicer), ossia coloro che di fatto si occupano dell’attività di recupero del credito, dei rapporti con i debitori e della rinegoziazione dei debiti, e agli acquirenti dei crediti, ossia coloro che acquistano i diritti del creditore.
E’ proprio ai Credit Servicer che la direttiva dedica il Titolo II per delineare i requisiti specifici che dovranno avere ossia, in primis, l’autorizzazione da parte dello Stato membro sulla base di specifici requisiti, stabilendo altresì le modalità in cui saranno autorizzati a ricevere e detenere fondi nell’ambito dell’attività di gestione dei crediti.
Il Servicer richiedente dovrà quindi presentare una domanda di autorizzazione rappresentando la sussistenza di tutto quanto necessario e attendere il placet per l’inizio della propria attività.
Detta autorizzazione è ovviamente passibile di revoca qualora, ad esempio, sia venuto a mancare un requisito oppure l’autorizzazione sia stata ottenuta sulla base di dati non veritieri oppure siano state violate norme o più semplicemente il servicer abbia rinunciato all’autorizzazione.
E’ anche a tal fine, infatti, che all’art. 21 la Direttiva chiede ad ogni Stato membro l’istituzione di autorità competenti che svolgano compiti di vigilanza, definendone modalità e poteri, e prevedendo sanzioni amministrative e provvedimenti correttivi in particolari situazioni di inadeguatezza, mancata conformità o problematiche sorte (ad esempio, nel caso in cui un Servicer non comunichi le informazioni previste delle disposizioni nazionali).
Altro fronte che si va a disciplinare sono i rapporti con i debitori, con riferimento ai quali viene chiesta buona fede, trasparenza, modalità non coercitive e riservatezza di dati, dando agli Stati anche indicazioni in merito alla corrispondenza.
Sempre con riguardo ai Servicer, infine, viene richiesto un registro con l’elenco di tutti i gestori autorizzati, periodicamente aggiornato e pubblicamente accessibile.
Confermando l’ottica di uniformare la gestione, nel caso in cui l’acquirente dei crediti si rivolga a terzi per lo svolgimento dell’attività gestoria, è altresì prevista una sorta di standardizzazione del contratto di gestione per fare in modo che non manchino determinati requisiti oltre che far si che anche il processo di esternalizzazione sia strettamente regolamentato.
Il Servicer autorizzato alla gestione avrà quindi anche il diritto di prestare la propria attività negli altri paesi dell’Unione Europea; in questo caso lo Stato ospitante dovrà ricevere dallo stato di origine del Servicer una serie di informazioni prima che questo possa dare il via alla propria attività transfrontaliera.
La Direttiva non manca di prevedere una regolamentazione anche per gli enti creditizi che, ad esempio, dovranno fornire ad un possibile acquirente dei crediti tutte le informazioni necessarie affinchè quest’ultimo possa valutarne il valore con più precisione possibile.
Nel caso in cui l’acquisto del credito dovesse andare in porto, lo stato deve informare le autorità identificando l’acquirente e indicando l’ammontare e la quantità dei diritti derivanti da contratto.
Questo correndo informativo deve essere trasmesso dagli Stati su base semestrale e può essere comunque richiesto altresì trimestralmente.
Anche in questo caso l’ottica è quella di andare a tipizzare a livello comunitario prevedendo specifici modelli per condividere dati e informazioni con gli acquirenti dei crediti per permettere una puntuale due diligence finanziaria e la valutazione dei diritti che si andrebbero ad acquistare.
Come impatterà in Italia questa Direttiva e cosa cambierà nella gestione dei crediti deteriorati?
Premesso che sicuramente questa omogeneità permetterà l’accesso ad un mercato europeo con un conseguente aumento di domanda e di offerta per tutti, la sensazione è che non ci sarà di fatto nel nostro paese un totale stravolgimento delle modalità di gestione dei crediti e della cessione degli stessi.
Questo perché il corredo normativo italiano al riguardo sembra essere già abbastanza speculare a ciò che viene richiesto.
Basti pensare al fatto che in Italia ad oggi possono praticamente già essere considerati Servicer, così come inteso dalla Direttiva, gli istituti bancari e gli intermediari finanziari ex art. 106 TUB che sono quindi già strettamente disciplinati e sottoposti ai rigidi controlli di Banca D’Italia.
Saranno invece le società ex art. 115 TULPS che, verosimilmente, vedranno una maggiore modifica della propria organizzazione al fine di poter ottenere la famosa autorizzazione di cui sopra.
Una prima problematica potrebbe sorgere nel caso in cui l’attuazione della Direttiva porti infatti ad un – anche momentaneo – fermo dell’attività di questi sub servicer nell’attesa di un adeguamento che li porti ad avere le caratteristiche necessarie per poter avanzare richiesta di autorizzazione.
Altra osservazione sulla quale vale la pena soffermarsi è che la Direttiva ha un ambito di applicazione strettamente correlato ai Non Performing Loans escludendo, di fatto, le altre tipologie di crediti (ad esempio quelli commerciali o i c.d. utilities) che, pertanto, si deduce che potranno continuare ad essere gestiti senza necessità dell’autorizzazione.