Dopo il rialzo dei tassi d’interesse a luglio, per la prima volta dopo undici anni in cui erano rimasti stabilmente nulli, la presidente della BCE Christine Lagarde, negli scorsi giorni, ha annunciato che la Banca Centrale Europea, nei prossimi mesi, continuerà ad alzare i tassi di interesse fino a quanto l’inflazione calerà al 2%.
La BCE ha deciso di intervenire per tenere sotto controllo l’inflazione in aumento a livello globale, soprattutto a fronte dell’impennata della domanda dopo i due anni di pandemia da Covid. In Europa poi l’inflazione è esplosa con la guerra in Ucraina, quando all’aumento repentino della domanda si è aggiunta la contrazione dell’offerta causata dalla carenza di fonti energetiche a buon mercato, che ha inciso su tempi di consegna e prezzi dei prodotti finiti.
Gli effetti derivanti dall’aumento dei tassi d’interesse non tarderanno a ripercuotersi sulla vita dei cittadini e delle imprese, e si prevede che non saranno indolori. Quanto alle banche italiane ed europee, il rialzo dei tassi potrebbe, invece, ingenerare due ordini di conseguenze.
Un rialzo così forte e repentino dei tassi significa che le banche hanno un beneficio dal margine sugli interessi, che altro non è che la differenza tra quello che gli istituti pagano ai clienti che depositano i fondi e gli interessi che chiedono per erogare i prestiti. Più i tassi ufficiali salgono più questa differenza cresce e con essa i guadagni.
Alcuni analisti hanno parlato anche di extraprofitti per gli istituti di credito derivanti da tale direzione della banca centrale. I conti del terzo trimestre, in effetti, hanno premiato alcune delle principali banche europee, tra cui Unicredit, Deutsche Bank, Ubs, Hsbc, Barclays, Santander.
Tuttavia, se si guarda il fenomeno da un’altra prospettiva, il rialzo dei tassi d’interesse della BCE potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio per le banche. Si riduce, infatti, il valore dei titoli di Stato, delle obbligazioni e degli strumenti finanziari già in circolazione e questo avrà inevitabilmente un impatto sui bilanci degli istituti che hanno questi asset all’interno del proprio patrimonio. Ed ancora, condizioni creditizie più stingenti mettono in difficoltà le aziende.
L’Ufficio studi della CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato) ha segnalato che l’aumento dei tassi di interesse “comporterà, tra il 2022 e il 2023, un aggravio degli oneri sui prestiti alle Imprese di circa 15 miliardi di euro”.
Nel medio-lungo termine, inoltre, le imprese potrebbero faticare più di prima a pagare interessi e rimborsi dei prestiti bancari, e questo impatterebbe sui crediti deteriorati di titolarità delle banche che costringerebbe le stesse ad accantonare più liquidità per adempiere agli obblighi di vigilanza e per far fronte a eventuali insolvenze, e quindi perdite.