La vicenda di causa muove le premesse dalla notifica dell’avviso con cui l’Agenzia delle Entrate aveva accertato una maggiore IRES, IRAP e IVA relativamente all’anno di imposta 2008, con conseguente irrogazione delle relative sanzioni ad una società operante nel commercio transfrontaliero, che aveva poi promosso ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano.
Il ricorso così proposto veniva parzialmente accolto, ragion per cui sia la società che l’Agenzia delle Entrate decidevano di proporre appello avanti alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale, tuttavia, confermava:
– ai fini IRES, in parte la ripresa fiscale relativa alla omessa contabilizzazione e dichiarazione di sopravvenienze attive imponibili;
– la ripresa per costi non deducibili relativi alle fatture ricevute dalla società;
– ai fini Iva, la ripresa per errata applicazione del regime di non imponibilità della cessione del contratto di leasing, la ripresa, in parte, dell’Iva per mancata prova dell’esportazione;
– infine, la ripresa parziale per omesso versamento delle ritenute d’acconto.
Delineato in questi termini il perimetro del giudizio di appello, la società decideva quindi di proporre ricorso in Cassazione lamentando, quale quinto motivo di ricorso, la violazione degli artt. 3, comma 2, n. 1) e 5), e dell’art. 8, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 633 del 1972., con riferimento alla ripresa IVA per la cessione del contratto di leasing.
La società sosteneva, infatti, che i contratti di leasing con facoltà di riscatto non erano necessariamente finalizzati all’acquisizione del bene; pertanto, questi non potevano essere assimilati ad una cessione di beni: in altre parole, nel caso di leasing immobiliare, doveva trovare applicazione la previsione di non imponibilità IVA di cui all’art. 8, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 633 del 1972, attesa l’espressa esclusione della cessione di beni immobili.
Da qui la decisione della Suprema Corte, la quale, investita della questione, precisava dapprima che la suddetta previsione normativa considera non imponibili, in quanto costituiscono cessioni all’esportazione, “le cessioni, anche tramite commissionario, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi…“, dopodiché rilevava l’errore in cui era incorso il giudice del gravame, secondo cui la ripresa IVA era corretta poiché a suo dire, nel caso di specie, era stato stipulato un contratto di leasing traslativo, con conseguente finalità di trasferimento del bene.
La ragione, ha precisato la Cassazione, risiede nell’art. 3, comma 2, n. 5), D.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui costituiscono prestazioni di servizi “le cessioni di contratti di ogni tipo ed oggetto“, e tale ampia formulazione non può non condurre a ritenere che tutte le cessioni di contratti sono considerate prestazioni di servizi, anche ove abbiano ad oggetto una cessione di beni immobili.
Per tali motivazioni, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto di dovere ragionare in ordine alla produttività di effetti traslativi del contratto di leasing, posto che, invero, la vicenda negoziale in esame è da collocarsi nella diversa categoria delle prestazioni di servizi e, in quanto tale, da ricondursi alla previsione di cui all’art. 8, comma 1, cit..