22.09.2023 Icon

Leasing: come riconoscere una penale legittima

Prima di tutto, occorre verificare se si tratta di contratto di leasing risolto anteriormente all’entrata in vigore della Legge 04 agosto 2017, n. 124, oppure successivamente: questo, perché con sentenza del 28 gennaio 2021, n. 2061, le Sezioni Unite hanno chiarito una volta per tutte che la Legge 124/2017 (articolo 1, commi 136-140) non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione con riferimento ai soli contratti di leasing in cui i presupposti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore (previsti dal comma 137) non si sono ancora verificati al momento della sua entrata in vigore.

Dopodiché, se nella fattispecie sottoposta alla nostra attenzione dovessimo rilevare che il contratto è stato risolto prima dell’entrata in vigore della Legge 124/2017, sarà inevitabile ammettere l’applicabilità in via analogica dell’art. 1526 c.c., primo e secondo comma, a mente dei quali: “Se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta”.

Si tratta di circostanza che non deve turbare, poiché è proprio attraverso lo spettro filtrante di detta disposizione che la giurisprudenza di legittimità ha potuto identificare quelle clausole standardizzate dall’autonomia privata che oggi possono essere ritenute meritevoli di tutela, poiché volte ad evitare indebite locupletazioni da parte del concedente e rispondenti, quindi, ad un equilibrato assetto delle posizioni delle parti contrattuali.

La complessiva operazione – originatasi in seno all’autonomia privata e sussunta, attraverso l’analogia, nell’art. 1526 c.c. – trova, infatti, la sua compiuta regolamentazione attraverso la peculiare rilevanza che viene ad assumere proprio il comma 2 dello stesso art. 1526 c.c., ossia la norma che disciplina la clausola penale (c.d. clausola di confisca) e, quindi, il risarcimento del danno spettante in base ad essa al concedente in ipotesi di risoluzione del contratto di “leasing” traslativo per inadempimento dell’utilizzatore.

Ed ecco, dunque, che sa da un parte si è ritenuta manifestamente eccessiva la clausola penale che, mantenendo in capo alla società concedente la proprietà del bene, gli consente di acquisire i canoni maturati fino al momento della risoluzione – ciò comportando un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene (tra le molte: Cass., 27 settembre 2011, n. 19732, nonché Cass. n. 1581/2020) -, dall’altra, invece, “è stata reputata coerente con la previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 1526 c.c. la penale inserita nel contratto di “leasing” traslativo prevedente l’acquisizione dei canoni riscossi con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito”(cfr. Cass. n. 15202/2018; Cass. N. 25031/2019, Cass. 21762/2019; Cass. n. 1581/2020; e da ultimo: Cass. civile, Sez. III, sentenza del 21/06/2023, n.17752).

Per tale ragione la Suprema Corte, tornata in argomento proprio qualche mese fa, ha tenuto a precisare, altresì, che “In tale prospettiva va allora considerato che, ove la vendita o altra allocazione sul mercato del bene concesso in “leasing” non avvenga, non vi può essere (come precisato da Cass. n. 15202 del 2018, citata) “in concreto una locupletazione che eluda il limite… ai vantaggi perseguiti e legittimamente conseguibili dal concedente in forza del contratto. Per cui resta fermo il diritto dell’utilizzatore “di ripetere l’eventuale maggior valore che dalla vendita del bene (a prezzo di mercato)” ricavi il concedente, “rispetto alle utilità che (quest’ultimo)… avrebbe tratto dal contratto qualora finalizzato con il riscatto del bene […] Con l’ulteriore puntualizzazione che, nel caso in cui la clausola penale non faccia riferimento ad una collocazione del bene a prezzi di mercato, essa “dovrà esser letta negli stessi termini alla luce del parametro della buona fede contrattuale, ex art. 1375 c.c.” (così ancora Cass. n. 15202 del 2018)” (cfr. Cass. civile, Sez. III, sentenza del 21/06/2023, n.17752).

E ciò senza trascurare che, pur nel voler applicare in via analogica la disciplina di cui all’art. 1526 c.c., dal principio di salvaguardia del corretto equilibrio contrattuale discende che l’utilizzatore, in mancanza di penale, abbia diritto alla restituzione delle rate pagate solo previa restituzione del bene, dal momento che solo dopo tale passaggio sarà possibile determinare l’equo compenso spettante alla società concedente per il godimento garantito al medesimo nel periodo di durata del contratto, nonché il risarcimento del danno.

Da qui, l’insieme degli elementi che delineano il volto non solo di una clausola penale che possiamo ritenere legittima, ma anche dei possibili effetti che conseguirebbero alla sua mancata previsione contrattuale.

Autore Francesco Concio

Partner

Milano

f.concio@lascalaw.com

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